Durante la visione di un programma di varietà su NTV all’ora di pranzo, mi è capitato di vedere la parola 儚いHakanai apparire lampeggiante sullo schermo. Li per lì non ho subito riconosciuto l’ideogramma (posso solo ipotizzare quanti invece lo abbiano fatto) dato che si tratta di uno Hyougai Kanji, vale a dire uno di quelli che non c’è nella lista dei 2136 Joyo Kanji di uso comune stilato dal Ministero dell’Educazione Giapponese per l’apprendimento nelle scuole. Fortunatamente l’ideogramma apparso sullo schermo era accompagnato dai furigana esplicativi in piccolo alla sua destra che mi hanno aiutato a capire.
Hakanai può avere diversi significati: può infatti voler dire fugace, transitorio, temporaneo, di breve durata, momentaneo, effimero, volubile. E’ una parola giapponese che si vede raramente. In sè quel kanji (儚), non è particolarmente difficile: è costituito dal radicale 亻(ninben, classificatore per persone) posizionato accanto al kanji di Sogno (yume 夢). A pensarci bene, non è proprio nulla di così insensato associare “persone” a “sogni” se si pensa che in effetti a volte si dice che “i sogni delle persone sono fugaci ed effimeri”.
A dire la verità questa non è stata la prima volta che mi sono ritrovato davanti questo ideogramma: ricordo che la prima volta risale ad addirittura prima dell’invenzione del karaoke nei giorni in cui giravano ancora i 45 giri, che nella copertina sul retro avevano ancora scritti i testi delle canzoni (歌词 Kashi).
Hakanai, scritto in hiragana はかない, era apparso tra le parole della canzone “恋心 Koigokoro – Risveglio d’amore”. Tradotta da Fumio Nagata in giapponese e cantata da diversi artisti, inclusi artisti come Fubuki Koshiji e Yoko Kishi, due cantanti di grande talenti, “Koigokoro” era in realtà una canzone nata in Francia, di grande successo, il cui titolo originale era “L’amour c’est pour rien”.
In francese, il ritornello della canzone fa più o meno così: “L’Amore, non puoi comprarlo. E’ speranza senza ragione e senza regole”. Ecco invece come sono le parole in giapponese:
夜 に な る と
(Yoru ni naru to – Quando giunge la notte)あ な た の こ と を 夢 に 見 る の
(Anata no koto wo yume ni miru no – Ti vedo in sogno)け れ ど 私 が め ざ め る 時
(Keredo watashi ga mezameru toki – Ma quando mi sveglio)夜 明 け と 共 に 消 え て し ま う
(Yoake to tomo ni kiete shimau – Sparisci con il giungere dell’alba)恋 な ん て は か な い も の ね
(Koi nante hakanai mono ne – L’amore è così fugace)恋 な ん て 何 に な る の
(Koi nante, nan ni naru no? – Che cosa ne sarà dell’amore?)
La seconda volta che invece incontrai la parola Hakanai fu per uno scherzo. Sulla strada per andare al lavoro, il mio treno passa per la stazione sulla linea JR Sobu Line chiamata 小岩 (Koiwa). Un mio collega, con molto senso dell’umorismo, mi chiese: 小 岩 に 墓 地 が な い . な ぜ か 、 知 っ て る?Koiwa ni bochi ga nai. Naze ka shitteru? (Non ci sono cimiteri a Koiwa. Lo sai perchè?)
Quando io gli dissi che non ne avevo la minima idea, lui sorrise e disse: “小 岩 墓 な い か ら Koiwa hakanai kara che significa “perchè non ci sono tombe a Koiwa”, facilmente confondibile con la frase 恋 は 儚 い Koi wa hakanai che invece significa “L’amore è fugace”. Un evidente gioco di parole!
Ricordandomi della canzone, capì subito la battuta e mi misi a ridere di gusto anche io con lui. E’ stato proprio in momenti come questo che mi sono sentito come se stessi realmente facendo progressi con il mio apprendimento di una lingua tanto complessa e intricata come il giapponese.
Hakanai è una di quelle parole che apre tantissime ballate struggenti e importanti opere di letteratura romantica, ecco perchè non è molto comune trovarla nel vocabolario di tutti i giorni e nel parlato quotidiano. Però fortunatamente, grazie ai furigana in Tv, ho potuto almeno conoscerla e impararla.
Per chi non lo sapesse (perchè magari i libri come il mio dedicano poco ai furigana), secondo l’autorevole dizionario Kojien, si definiscono i furigana in questo modo: 漢 字 の 傍 に そ の 読 み 方 を 示 す た め に つ け る 仮 名 (Kanji no soba ni sono yomikata wo shimesu tame ni tsukeru kana, che tradotto vuol dire: “kana posizionati in piccolo al fianco degli ideogrammi per indicare il modo in cui gli ideogrammi devono essere letti.” Altro modo con cui vengono descritti è “trascrizione fonetica” di un kanji.
Anche se non c’è alcuna regola che affermi dove vada applicato il loro uso e in quali situazioni è chiaro che vengono usati non solo sui materiali didattici per scuole sia elementari che medie; si trovano infatti anche sui moduli applicativi per domande, sui curriculum o in altri documenti dove viene richiesto di inserire dati personali come nome o indirizzo.
Nell’introduzione del libro The Study of Kanji (della Hokuseido Press, 1971), Michael Pye sottolinea: “… l’uso dei furigana è molto utile per aiutare coloro che vogliono esercitarsi nella lettura senza dover consultare dizionari per kanji tutto il tempo. Nelle storie illustrate. il Giappone ha dunque aggiunto “questi piccoli simboli” per non far perdere ai bambini il loro interesse e aiutarli a leggere. Dopo però aver imparato e studiato i vari ideogrammi è però bene ritornare indietro sulle stesse storie e provare a leggere fluentemente senza guardare i furigana”.
In altre parole, Pye sta consigliando a coloro che stanno imparando i kanji di cercare il più possibile di evitare i furigana quando si può ed esercitarsi a leggere i kanji.
Io personalmente ammetto di avere sentimenti contrastanti riguardo i furigana. Da un lato è bello avere un aiuto durante la lettura, ma dall’altra parte il loro uso eccessivo tende alla lunga a dare problemi ad un giapponese, a parte che per i miei occhi è difficile focalizzarmi su tipi di caratteri di dimensioni differenti.
Molti dicono che i furigana sono la prova evidente che il sistema di scrittura giapponese è così capriccioso che richiede maestria e formazione. Questo non è però del tutto giusto: anche l’ortografia inglese ad esempio può risultare molto “capricciosa” che spesso confonde i non madrelingua: mi riferisco al modo arbitrario e a volte senza regole con cui si pronunciano le parole scritte in un modo ma dette in un altro. Prendiamo ad esempio la parola inglese “hiccough” (singhiozzo) che viene pronunciato invece “Hiccup”.
Articolo scritto da Mark Schreiber per il Japan Times
Traduzione: SakuraMagazine
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