Molte società nel mondo, sin dal loro inizio, hanno saputo riconoscere il ruolo vitale che le donne hanno per tradizione giocato nella sopravvivenza e nella civilizzazione del genere umano, spesso rendendosi uguali se non addirittura superiori agli uomini in molte occasioni, specie nel dirigere la famiglia, la comunità e le relazioni nazionali e tribali; e questo è stato proprio il caso del Giappone “primitivo”.
Prima infatti dello sviluppo dei clan militari, a partire dal X secolo in poi, le donne in Giappone già ricoprivano regolarmente ruoli di potere ed esercitavano molti privilegi oggi riservati generalmente solo agli uomini; tra queste prerogative era incluso anche il diritto di avere relazioni amorose con più di un uomo e, in alcuni casi di avere anche molteplici mariti.
Con il numero sempre crescente di condottieri e il svilupparsi del militarismo, le donne vennero ben presto relegate allo status di bene o proprietà da usare per vantaggi economici e politici.
Questa nuova filosofia, ben spiegata dalla frase “danson johi”, che letteralmente significa “uomini che predominano sulle donne”, si è sviluppata in seguito all’adozione del Confucianesimo, introdotto in Giappone tramite la Corea nel V secolo, e che gradualmente ha pervaso tutta la cultura giapponese per il resto dei secoli successivi.
Le donne giapponesi sono state dunque tenute in condizioni di sottomessa schiavitù dai loro padri, mariti o capi sino al 1946, condizione che cessò di esistere quando il Giappone venne sconfitto nella Seconda Guerra Mondiale e il governo americano ordinò che venisse abolito il sistema feudale.
Ad ogni modo però questa “libertà” acquisita non significò che le donne giapponesi furono in grado di rimuovere il loro attaccamento, ormai men radicato, al danson johi. Lo status inferiore delle donne e lo status superiore degli uomini era ormai talmente radicato nella loro cultura che fu praticamente difficile per i nuovi decreti essere accettati e seguiti.
Le prime donne giapponesi che resero più efficace ed effettivo il taglio con il passato furono le adolescenti e le donne single ai loro vent’anni. Nei mesi successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, centinaia di migliaia di ragazze e giovani donne si ritrovarono tutte coalizzate e quasi fraternizzate ad un gran numero di americani, soldati alleati e civili stranieri che all’epoca occupavano ancora il Giappone.
Le donne giapponesi sono sempre state interessate agli uomini stranieri, ma in quel caso l’attrazione era più legata all’ambito sociale ed economico. Per migliaia e migliaia di donne giapponesi, i soldati americani e gli impiegati stranieri facenti parte delle forze di occupazione erano praticamente un’inesauribile fonte di denaro, di cibo, di abiti e di qualsiasi altra cosa importata durante i loro scambi militari.
In altre aree della vita giapponese, i risultati di questa “legale emancipazione” delle donne giapponesi non accennò a mostrarsi se non verso la metà degli anni 50′, periodo in cui la maggior parte della devastazione lasciata dalla guerra era sparita e il Giappone aveva cominciato ad entrare in un’era di consumismo sempre più crescente.
Durante l’ultima metà degli anni 50′, migliaia di ragazze giapponesi iniziarono a frequentare anche le università, giovani donne e uomini giapponesi iniziarono ad uscire e a frequentarsi liberamente, facendo si che il numero dei matrimoni combinati calasse vertiginosamente; allo stesso modo un grandissimo numero di giovani donne iniziò a lavorare nelle nuove compagnie nascenti, creando così una nuova classe di giovani donne indipendenti.
Nei successivi tre decenni, il concetto di danson johi praticamente scomparì dalle famiglie giapponesi. Però, generalmente parlando, questa condizione fece si che molte mogli e madri finissero per prendere la propria strada, lo stesso i mariti e padri, arrivando così ad interagire pochissimo tra loro, creando un mondo di sole donne e un mondo di soli uomini, dove l’incontro tra i due era al minimo.
Gli uomini erano presi dal loro mondo degli affari e di governo, lasciandosi andare ai propri intrattenimenti e divertimenti. Le donne invece erano sempre prese ad occuparsi della casa, di crescere i figli e di trascorrere il proprio tempo libero in shopping, gossip con le amiche, guardando la tv oppure occupate in qualche attività culturale. Le donne non sposate invece lavoravano, facevano acquisti, viaggiavano, lasciandosi trasportare a volte anche da qualche “affair amoroso”.
Al posto di coalizzarsi insieme per il bene dell’emancipazione femminile, i due sessi sono finiti per creare mondi propri separati; tale situazione durò così sino agli inizi degli anni 90′, periodo in cui la distanza tra mariti e mogli, padri e figli divenne un vero e proprio caso di “crisi nazionale” che portò le autorità sociali e per la salute a promuovere programmi di aiuto e sostegno che aiutassero uomini e donne a superare il loro isolamento.
Anche se in buona parte scomparso, tuttavia il concetto di danson johi è ancora qualcosa di normale per la maggior parte degli uomini giapponesi e ciò si riflette in ogni aspetto della vita giapponese, dal linguaggio che viene usato, ai modi, al lavoro, al salario e ai privilegi.
Nonostante tutto però, le donne giapponesi non sono così maltrattate al punto tale da aspirare ad ulteriori cambiamenti. Il “femminismo” non è una forza ancora presa in considerazione in Giappone e probabilmente non lo sarà ancora per diverse generazioni, perchè, tutto sommato, alle donne giapponesi piace l’idea di avere ancora un mondo tutto loro.
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