Il regime alimentare degli okinawesi, come pure il loro rapporto con il cibo, è piuttosto diverso da quello degli altri giapponesi. Anzitutto, occorre osservare che gli okiwanesi seguono tre tradizionali regole alimentari:
- Nuchi gusui, in genere tradotto con “cibo: medicina di vita”; l’alimentazione viene, cioè, considerata una medicina.
- Hara hachi bu o “saziarsi all’ottanta per cento”. Consiste nel soddisfare il proprio bisogno di mangiare fino all’ottanta per cento circa, ossia alzarsi da tavola ancora con un leggero appetito e, soprattutto, non farlo mai con lo stomaco pesante. Contrariamente agli altri popoli precedentemente descritti, è dunque per scelta che gli okinawanesi limitano il numero delle calorie nell’alimentazione (circa milleottocento al giorno, contro le duemilatrecento dei francesi e le duemilacinquecento degli americani).
- Kuten gwa, solitamente tradotto con “porzioni piccole”, un aspetto tradizionale della cucina asiatica. Si tratta di mangiare piccole porzioni di pietanze varie anziché una sola grossa porzione di un unico piatto.
Gli okinawanesi fanno tre pasti al giorno. Il pasto principale è il pranzo. Si nutrono di verdure che coltivano, senza concimi chimici né pesticidi, di pesce e di frutti di mare che pescano loro stessi. Come la maggior parte delle regioni dell’Asia sudorientale, la base dell’alimentazione è il riso integrale spesso cotto al vapore. Gli okinawanesi ne consumano una ciotola a ogni pasto. Il riso è talvolta sostituito dalla soba, cioè tagliolini di grano saraceno integrale. I pasti in genere cominciano con verdura cruda o una zuppa (dashi), che di solito è composta da “miso” (pasta di soia), pesce e alghe nori, accompagnata da tofu, alghe wakame e qualche verdura di stagione.
A ogni pasto vengono poi serviti piccoli piatti di verdura cruda, scottata, cotta al vapore e/o saltata nel wok, strumento tradizionale della cucina asiatica in generale e di Okinawa in particolare. In genere si utilizza l’olio di colza. Gli okinawanesi hanno a disposizione una grande varietà di ortaggi: cavoli, cetrioli, carote, rape, germogli di bambù, funghi, goya (una specie di zucca dal sapore amarognolo) ecc. Il piatto più tipico della loro cucina è il champuru, verdure di stagione saltate con tofu e/o uova, cui talvolta si aggiunge del pesce o del maiale.
Molto spesso la verdura viene mescolata a legumi (fagioli di soia, fagioli mungo, fagioli azuki) o a prodotti a base di soia, reperibili in diverse forme:
- Il tofu, fatto cagliando latte di soia, a formare una pasta bianca dal sapore e dall’odore assai poco pronunciati.
- Il miso, una pasta dal sapore salato e più pronunciato, preparata con fagioli di soia, riso e sale integrale.
- Il natto, condimento a base di soia fermentata il cui sapore ricorda quello del formaggio.
- La salsa di soia, condimento dal sapore salato preparato con soia fermentata.
Dalle tre alle quattro volte alla settimana gli okinawanesi consumano pesce e frutti di mare. Pesce, molluschi, crostacei possono essere serviti crudi, sottoforma di “sashimi” (sottili fette di pesce crudo, a Okinawa chiamate anche kaisou), “sushi” (sottili fette di pesce crudo servite su palline di riso all’aceto) o “maki” (involtini di riso all’aceto farciti di pesce crudo e avvolti in un’alga essiccata). Il pesce può anche essere usato per minestre e stufati, saltato nel wok con verdure (champuru), o grigliato (iriko).
Le alghe, un altro prodotto del mare, sono assai presenti nella cucina di Okinawa. La kombu rientra nella composizione del brodo dashi e può anche essere servita cruda, sottoforma di sashimi, o tagliata a listarelle e marinata in una salsa agrodolce (sunui). In questo caso viene usata come stuzzichino. La nori, che serve per avvolgere i maki, è utilizzata anche in polvere per insaporire il pesce. Tradizionalmente, inoltre, la si mangia a colazione dopo averla intinta nella salsa di soia. La wakame, il cui sapore ricorda quello dell’ostrica, viene consumata in insalata o nella zuppa di miso. L’hijiki, piccola alga nera, viene spesso cotta con le verdure saltate. L’umibuddu, un’alga la cui forma ricorda quella di un grappolo d’uva e che è presente solo nella regione di Okinawa, è consumata così com’è o utilizzata come condimento. A volte la si chiama “caviale verde”.
La carne, assai più rara del pesce sull’isola di Okinawa, è stata a lungo una pietanza di lusso. Veniva consumata in media una o due volte alla settimana e si trattava esclusivamente di maiale. Questa carne rientra nella composizione dei piatti per i giorni di festa, per esempio la Okinawa soba (pezzetti di filetto di maiale privati del grasso e cotti con pasta, verdure e zenzero), il mimigaa (orecchie di maiale tagliate a pezzetti sottili, bollite e servite in insalata con verdure marinate nell’aceto) o l’ashi-tibichi (piedini di maiale stufati).
Le uova rientrano nella composizione di certi piatti (zuppe, champuru) ma raramente sono mangiate da sole. In media se ne consumano da una a tre volte alla settimana. Per tradizione gli okinawanesi non consumano latticini.
Contrariamente a ciò che potremmo pensare, gli abitanti di Okinawa mangiano poca frutta. La frutta, scarsamente coltivata sull’isola, è stata infatti a lungo considerata una derrata di lusso. Nella cucina tradizionale, anche dessert e dolciumi sono assai rari. La bevanda più consumata a Okinawa è il tè, soprattutto quello verde.
Fonte: estratto tratto dal libro I Segreti dei Popoli Centenari – I principi svelati della salute e della longevità di Muriel Levet ed edito da Edizioni il Punto d’Incontro
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