La parola Bushido è stata introdotta per la prima volta a persone non native giapponesi tramite un libro dal titolo “Bushido: The Soul of Japan“. Questo libro è stato scritto nel 1899 dal dottor Inazo Nitobe.
Molti, che sono già familiari con il termine, sono consapevoli che si riferisce al “codice” degli antichi guerrieri samurai del Giappone feudale. Nel suo libro il dottor Nitobe definisce il bushido come un “codice che non si esprime o si spiega nè tantomeno è scritto, tuttavia possiede l’approvazione e la più alta considerazione, uguale a quella di un vero e proprio atto”.
Bushido letteralmente significa qualcosa come “via del combattimento militare”, però molto spesso è comunemente tradotto come “via del guerriero”. Sviluppato in secoli e secoli di storia dalla classe dei samurai, che fecero la loro comparsa dopo la creazione della forma di governo chiamata “shogunato” nel 1185 e che governò il Giappone come casta militare, il bushido, combina un insieme di regole morali ed etiche con una particolare e altamente stilizzata etichetta volta a definire il vero carattere dei samurai; con il passare dei secoli, questa etichetta ha finito per influenzare poi anche il resto della popolazione giapponese, non solo i samurai.
Il principio base del bushido deriva dallo Shintoismo, religione indigena del Giappone, dal Buddhismo e dal Confucianesimo, questi ultimi invece importati dalla Cina nel VI secolo. Il contributo dello Shinto alla “via del guerriero” si può trovare in quei valori come lealtà all’imperatore, patriottismo, pietà filiale, reverenza e rispetto verso gli antenati e purezza d’animo.
Dal Buddhismo invece ne deriva una credenza e piena fiducia nel fato come sottomissione all’inevitabile, accettazione della morte, stoico autocontrollo di fronte alle avversità e difficoltà della vita e un senso di pace e calma.
Il Confucianesimo invece ha portato le sue “cinque relazioni morali” al bushido che poi sono diventate il fondamento della via del guerriero. Queste cinque relazioni si basano su relazioni gerarchiche tra padrone e servo, tra padre e figlio, tra mariti e mogli, tra fratelli maggiori e fratelli minori e per ultimo, ma non per questo meno importante, tra amici.
I giovani samurai venivano addestrati nel combattimento con la spada, con la lancia, con arco e frecce, nel jujitsu, equitazione, tattiche militari, etica e filosofia, letteratura, calligrafia e storia. Non venivano però istruiti in matematica o economia; la conoscenza e consapevolezza del valore delle monete e del denaro in uso a quel tempo era considerato come qualcosa che andava al di sotto della dignità e del carattere di un samurai.
La parsimonia veniva sì insegnata, ma come modo per forgiare il carattere di un giovane ma non aveva propositi legati alla conoscenza dell’economia. Il controllo di sè stessi, il nascondere i propri pensieri, la sopportazione del dolore e della sofferenza, la resistenza e la cortesia erano le cose che però venivano assolutamente insegnate ai giovani samurai.
Il fondamento morale del bushido si basava sul senso di giustizia, coraggio e rettitudine, benevolenza unita ad amore, affetto e simpatia verso gli altri, cortesia e buone maniere unite alla grazia, precisione e sincerità in ogni momento e in tutte le cose, senso dell’onore e assoluta lealtà allo stato e al signore che si serviva.
Quindi è chiaro che c’erano delle idee morali di fondo per tutti i samurai, ma è altrettanto ovvio dire che sono pochi i samurai che hanno vissuto a pieno queste idee e questi princìpi. Attraverso tutto il Giappone dell’era feudale, c’erano sempre modelli di bushido considerati come esempi da seguire e che constantemente influenzavano la vita delle persone, guidando loro verso quelle norme che ci si aspettava che venissero seguite e mantenute.
Dal momento che la vita non è mai così semplice come la filosofia a volte insegna, è ovvio pensare che ci fossero costanti contraddizioni nella vita dei samurai che puntualmente si presentavano quando gli stessi mettevano a confronto i propri valori morali. Ad esempio a volte era la lealtà al proprio signore che aveva la precedenza sulla benevolenza, giustizia, simpatia e sincerità, ma poi c’era anche l’onore che spesso veniva prima di ogni altra cosa.
Uno dei più grandi “shock” che subì “l’anima del Giappone”, fu l’introduzione del commercio occidentale nel paese circa nel 1870. Ciò ha provocato, allora come ancora un pò oggi, una sorta di generale derisione di quel senso di giustizia, lealtà, benevolenza e sincerità e di tutti quei valori che hanno contribuito a caratterizzare il bushido. Lo shock culturale provato dai samurai del Giappone come risultato dell’industrializzazione dell’economia, che ha cambiato totalmente il loro lo stile di vita, è stato molto traumatico per loro, specie quando videro, da parte degli altri, un graduale rifiuto di tutti quei valori filosofici che loro fino a quel tempo avevano conservato e preservato come sacri.
Tutti gli eventi che poi avvennero in Giappone nella metà del 1800, quando il paese decise di aprirsi al pensiero e al commercio occidentale, portarono ad usare il bushido per interessi e ambizioni di leader militari senza scrupoli che portarono il Giappone a tutta una serie di guerre.
Tuttavia tracce di bushido sono comunque sopravvissute a queste guerre e a tutti quei traumatici eventi che sono accaduti in quel periodo, ed oggi in ogni forma di comprensione o atteggiamento giapponese c’è ancora qualche legame con la consapevolezza lasciata da più di sei secoli di presenza di samurai nella loro storia.
Tra le varie caratteristiche tipiche da samurai che continuano ancora oggi ad essere presenti nell’indole di molti uomini di affari e lavoratori giapponesi è sicuramente l’enorme lealtà che conservano verso le compagnie per cui lavorano, un profondo senso di onore e orgoglio, una particolare quanto precisa etichetta di comportamento, la determinazione a raggiungere il successo andando anche oltre le probabilità e le incertezze di riuscita e la disponibilità a sacrificare la propria vita personale per mettersi al servizio degli altri.
Oggi il lavoratore giapponese ci crede ancora nel detto “bushido no ichigon” (“la parola di un samurai”) e cerca sempre di mettere in pratica questo concetto: significa che quando viene fatta una promessa o viene preso un impegno, anche senza alcuna garanzia scritta o contratto, è certo che loro la manterranno a qualunque costo.
Oggi la relazione tra il moderno Giappone e l’era antica dei samurai è facilmente visibile anche nelle discipline quali aikido, judo, kendo e altre forme di arti marziali praticate attraverso i dojo, le scuole e le palestre del paese, per non dimenticare della severa e precisa etichetta che molte compagnie adottano e fanno seguire ai loro impiegati.
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