Dietro la ponderata calma e i movimenti riflessivi e meditativi che hanno da sempre caratterizzato per molti secoli lo stile di vita tradizionale del Giappone, ci sono sempre stati un gran numero di momenti difficili e di tensione che però in un certo modo anche contribuito a tenere unita la società giapponese, o almeno così è stato sino a che non fosse terminato il periodo di difficoltà.
Una delle origini di queste tensioni era la costante minaccia di morte sotto cui la maggior parte dei giapponesi viveva anticamente. La gente ordinaria poteva essere facilmente uccisa così su due piedi dal samurai malvivente o da qualsiasi altro guerriero che da costoro poteva sentirsi offeso o se pensava che questi potessero rappresentare qualche tipo di minaccia per il loro signore o per lo shogun.
Ma anche gli stessi samurai non erano di certo liberi da questa costante paura: erano infatti obbligati a dare la loro vita, e spesso a sacrificare anche la vita di un membro della loro famiglia, se questo significava difendere il proprio signore o se serviva ad un suo importante proposito.
In aggiunta al vivere costantemente con le spade, ai giapponesi era richiesto di vivere anche secondo una particolare etichetta che era talmente strutturata e formalizzata che era come recitare tutto il tempo in un dramma teatrale altamente emozionale senza avere però alcuna opportunità di lasciare mai il palcoscenico.
E anche se il dramma della vita giapponese era estremamente emozionale, l’etichetta giapponese era anch’essa fatta in modo tale che la gente tendesse a reprimere le proprie emozioni e cercasse di vivere in modo, secondo loro, più sereno e armonioso possibile, anche quando erano portati a compiere il famoso e antico rituale del suicidio.
Per usare una parola sola, vivere alla maniera giapponese era “pericoloso”. Alle persone veniva richiesto di mettere i paletti alla propria vita e a controllare il proprio comportamento, ed è proprio in contesti del genere che venivano coniati termini come “Isshokenmei”, ovvero “Mettere la propria vita al limite”, espressioni molto comuni e significativi allora come oggi.
Isshokenmei è ancora oggi infatti una delle espressioni davvero molto usate in Giappone, anche se oggi il suo significato è in un qualche modo cambiato. Persone che prendono l’impegno nel fare qualcosa o a cui viene chiesta di fare qualcosa, quotidianamente, enfatizzano il loro impegno usando il termine che tradotto significa “Farò del mio meglio!”, o “Sto facendo del mio meglio”: Isshokenmei yarimasu!
Certo, la vecchia sfumatura che implicava tutti quei limiti e paletti nella vita di ogni giapponese è ancora un po’ presente e la parola rimane ancora come una caratteristica tipica delle attitudini giapponesi nell’approcciarsi alle cose però oggi, in modo più leggero, suona più come “fare un giuramento, prendere un solenne impegno” , quindi rimane di per se un’altra fonte di tensione per la società giapponese.
Quando un giapponese si trova infatti sul punto di portare a termine un tipico “impegno isshokenmei”, le aspettative da parte degli altri sono molto alte perché chi si sta impegnando spronato da tale espressione porta il peso di “doverci riuscire a tutti i costi” e quindi conserva un po’ ancora quella sfumatura antica di “riuscirci o morire”.
Persone d’affari stranieri, nell’interagire con la loro controparte giapponese possono giudiziosamente usare questa parola per enfatizzare l’impegno che vogliono mettere in una relazione o in un progetto. Ovviamente per essere realmente efficace, dev’essere fatto entro il contesto del “wa“, ovvero “l’armonia” intesa secondo la filosofia giapponese.
Una delle più importanti abilità che gli stranieri devono sviluppare per poter veramente avere a che fare con i giapponesi, che si tratti di affari o politica, è imparare come agire serenamente in ogni situazione di tensione o di difficoltà.
Il “vincitore”, in questi “incontri difficili” è quasi sempre quello che riesce a mantenere una modalità armoniosa e che sa resistere più a lungo rispetto all’altro e a superarlo in astuzia e abilità, strategie che sono tutte incluse nel termine Isshokenmei.
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