Nel 1878 uno studioso americano, Ernest Fenollosa, si unì ad Edward Morse divenendo professore presso l’Università di Tokyo. Fenollosa fu un docente rinomato nonchè un grande divulgatore e promotore dell’arte giapponese in Occidente. Con il suo ex studente Kakuzo Okakura, critico d’arte e filosofo e in seguito alto funzionario del ministero dell’Istruzione nell’ambito della cultura artistica, Fenollosa si prodigò nel sistematizzare e istituzionalizzare l’arte giapponese.
Insieme fondarono nel 1889 la prima accademia d’arte ufficiale – le cui due branche originarie, la Scuola di Belle Arti di Tokyo (Tokyo Bijutsu Gakkou) e la Scuola di Musica di Tokyo (Tokyo Ongaku Gakkou), formano oggi l‘Università delle Belle Arti di Tokyo (Tokyo Geijitsu Daigaku) – e pubblicarono la prima rivista d’arte giapponese. Fenollosa e Okakura organizzarono mostre internazionali e descrissero diffusamente le caratteristiche e la storia dell’arte del Giappone, introducendo tra l’altro sia il concetto tutto occidentale di una netta distinzione tra “arte pura” e “arte applicata” sia il glossario tecnico utilizzato per valutare un’opera artistica, fino ad allora pressoché inesistente in Giappone.
Da quel momento, l’arte giapponese, per lo più poco conosciuta all’estero, divenne famosa in tutto l’Occidente, esercitando per esempio un notevole impatto sull’impressionismo francese, che avrebbe poi influenzato a sua volta gli artisti del Giappone.
Per la prima volta il Giappone faceva ufficialmente parte del mercato mondiale delle opere d’arte e il governo Meiji si adoperò per soddisfare e promuovere l’insaziabile domanda di lavori artistici giapponesi da parte dell’Occidente, dalle porcellane più raffinate fino a creazioni da molti ritenute in precedenza piuttosto rozze, ancorché pregne di vivido realismo, come le stampe artistiche su blocchi di legno chiamate ukiyo-e.
Molte manifestazioni e forme dell’arte giapponese furono introdotte ex novo alla fine del XIX secolo per rispecchiare i desideri dell’Occidente, insistendo per esempio sulle forme d’arte più popolari e pittoresche e trascurando invece le creazioni più austere dell’arte classica, più raffinata e d’ispirazione cinese. I desideri dell’Occidente, a loro volta, furono plasmati dalla creatività giapponese.
Agli inizi del XX secolo il movimento artistico internazionale noto come mingei, promosso da Kakuzo Okakura e in seguito da Muneyoshi Yanagi, ebbe una grande diffusione e lasciò un segno sui movimenti legati all’arte popolare di altre parti del mondo, per esempio quelli associati ai nomi di William Morris e John Ruskin.
Prima dell’istituzionalizzazione dell’arte alla fine del XIX secolo, il Giappone, non conosceva alcuna netta divisione tra le diverse forme di comunicazione visiva. Come molte società tribali – in cui anche gli oggetti più umili, non importa se piccole terrecotte, scialli, fiocine o perfino zucche vuote usate come contenitori, sono realizzati con cura estrema, al fine di renderli bellissimi – i giapponesi non facevano distizione tra il fine utilitaristico e l’aspetto estetico.
Tradizionalmente, i giapponesi sono sempre vissuti in un mondo alquanto circoscritto sotto l’aspetto materiale, indossando per lo più abiti molto semplici, vivendo in case piccole e possedendo pochi beni personali. Eppure, quel poco che possedevano è stato oggetto di enorme attenzione, dalle fibbie per le spade ai fermagli delle borse, inclusa qualsiasi superficie destinata a essere laccata.
All’altro capo del mondo, molti occidentali godevano di un ambiente di estrema ricchezza in cui vigeva una rigida separazione tra l’aspetto utilitaristico e quello estetico. Gli oggetti di uso immediato erano opera di tecnici o di artigiani, mentre le forme d’arte più elevata, come la pittura, che produceva dipinti bellissimi ma di nessuna utilità pratica, erano appannaggio degli artisti.
Si tratta di una separazione che molti fanno risalire al Rinascimento, l’epoca in cui si creò la distinzione tra artigiano e artista e in cui l’estetica occidentale pose come proprio principio organizzatore fondamentale “l’arte per l’arte”, le cui opere non erano più considerate veicoli di istruzione religiosa.
Anche se la separazione tra i due mondi artistici iniziò ad essere istituzionalizzata nelle gallerie d’arte, nelle grandi mostre, nei libri d’arte e nello stesso glossario introdotto da Fenollosa e Kakuzo Okakura, in Giappone la linea di demarcazione tra arte pura e arte applicata rimane tuttora alquanto vaga, tanto che i giapponesi riconoscono ai grandi artisti-artigiani il massimo prestigio definendoli ufficialmente “tesori nazionali viventi“, e tra essi si contano semplici vasai, fabbri ferrai che creano spade, fabbricanti di carta, maestri laccatori e calligrafi.
Tratto dal libro Enigmatico Giappone di Alan MacFarlane
Per chi volesse saperne di più sull’arte giapponese consiglio i tre volumi-cataloghi della mostra tenutasi a Firenze nell’estate 2012 a Palazzo Pitti dal titolo Giappone – Terra d’Incanti:
- Giappone, terra di incanti – Di linea e di colore – Il Giappone, le sue arti e l’incontro con l’Occidente
- Giappone, terra di incanti – L’eleganza della memoria – Le arti decorative nel moderno Giappone
- Giappone, terra di incanti – Giapponismo. Suggestioni dell’ Estremo Oriente dai Macchiaioli agli Anni Trenta
O ancora:
- Lo spirito dell’arte giapponese di Kakuzo Okakura
- Lo zen e il manga. L’arte contemporanea giapponese di Fabriano Gabbri
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