Il viaggio della cotoletta di maiale alla conquista del Giappone ha seguito strade interessanti. Se la frittura è una tecnica familiare alla cucina del Paese, lo è meno l’uso della carne suina. Infatti, con l’istituzione del buddismo come religione ufficiale durante il periodo Nara (710-784), l’atteggiamento dei giapponesi, cacciatori e allevatori, verso il consumo di carne è cambiato: la corte imperiale emanò diverse disposizioni relative al modo in cui gli animali potevano essere catturati e macellati. E mentre la caccia risultava in qualche modo più accettabile, non altrettanto avvenne per l’allevamento.
La diffusione della carne ha avuto alti e bassi a seconda di chi esercitava il controllo del governo. Nel periodo Kamakura (1185-1333), per esempio, quando i bushi (altro nome dei samurai) erano al potere venne posto un divieto di vendita all’ingrosso. Il consumo di creature a quattro zampe, come i maiali, era quello maggiormente offensivo.
Questo atteggiamento ha prevalso fino alla Restaurazione Meiji del 1868, con alcune eccezioni: nel tranquillo periodo Edo (1603-1868) la carne di maiale si diceva dotata di qualità terapeutiche utili ad aumentare la forza e la resistenza dell’uomo, così i benestanti, utilizzando l’alibi dei motivi di salute, la mangiavano.L’ultimo shougun (“generalissimo”), Tokugawa Yoshinobu, era così appassionato di maiale da venire soprannominato Tonichi-sama (qualcosa che suona come “il Maiale Supremo”).
Con la Restaurazione Meiji, che ha portato con sé l’apertura del commercio con l’Occidente, il consumo di carne è stato attivamente incoraggiato. I nuovi leader, osservando come la dieta occidentale fosse ricca di carni e latticini, pensarono che anche il popolo giapponese, per diventare forte e alto come europei e americani, avrebbe dovuto adeguarsi. Carne, come dovere patriottico!
Non solo per finalità pratiche: questa dieta fu incoraggiata anche per fare apparire i giapponesi più cosmopoliti agli occhi degli occidentali. Il maiale risultò più economico del manzo e quindi il suo consumo aumentò rapidamente. Il nome di questo piatto, tonkatsu, combina la parola giapponese per suino, ton, con una versione abbreviata della parola inglese per “cotoletta”, cutlet, pronunciata però alla giapponese katsuretsu.
La prima testimonianza scritta si trova nel Seiyou ryouritsu (“Il libro di cucina del mondo occidentale”) del 1872, che descrive appunto un piatto chiamato ooru katsuretsu (traslitterazione di whole cutlet, “cotoletta intera”). La prima comparsa della pooku katsuretsu (pork cutlet, “cotoletta di maiale”) nel menu di un ristorante sembra avvenire intorno al 1899 al Renga-tei del quartiere Ginza di Tokyo.
In seguito, anche i ristoratori giapponesi tradizionali individuarono in questo piatto una svolta saziante ed economica che permetteva loro di contrastare l’avvento delle varie diablerie della cucina occidentale. Nacquero così locali dedicati al tonkatsu già tra il 1920 e il 1940, anche se il vero boom si ebbe tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Alcuni ancora resistono, come Maisen nel quartiere Aoyama di Tokyo (fondato nel 1965 da una donna, e ora uno dei più grandi venditori di prodotti tonkatsu ready-made a livello nazionale).
Fonte: Estratto tratto dal libro The Sushi Game – Guida Banzai alla cucina giapponese di Francesca Scotti e Alessandro Mininno
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