La seconda metà del XIX secolo costituisce un momento particolarmente importante nella storia dell’arte, per lo meno di quella occidentale. E’ infatti il periodo in cui in Europa videro la luce le cosiddette “avanguardie” artistiche, movimenti che imposero un distacco, se non un rifiuto, all’accademismo fino ad allora imperante.
Non solo i pittori, ma anche i decoratori, gli artigiani, gli incisori, le manufatture ceramiche, tessili e tutte le altre categorie artistiche, avvertirono la necessità di operare un cambiamento nel loro stile e nell’approccio alle loro creazioni.
Riguardo alla pittura, nacque così l’Impressionismo, grazie a personalità quali Edouard Manet, Claude Monet, Edgar Degas, James Abbott McNeall Whistler e altri della prima generazione, cui seguì una seconda formata da personaggi quali Vincent Van Gogh, Henri de Toulouse-Lautrec, Paul Signac, Paul Gauguin, solo per citarne alcuni.
La svolta che l’opera di questi artisti significò per la storia della pittura fu determinata da varie cause, identificare le quali sarebbe in questa sede un’operazione troppo lunga. E’ certo però che un fattore determinante fu la scoperta dell’arte orientale, e più in particolare quella giapponese.
Non solo gli artisti espressero pubblicamente la loro devozione per le opere nipponiche, più volte inserite all’interno delle loro composizioni, ma anche ne trassero una più o meno evidente ispirazione per l’ideazione dei loro capolavori.
Soprattutto le stampe policrome dei maggiori artisti dell’ukiyo-e fornirono ai pittori occidentali una fonte inesauribile di temi inediti: dalla stesura cromatica “piatta”, priva cioè delle caratteristiche occidentali della prospettiva e del chiaroscuro, alla ricchezza e vivacità delle colorazioni xilografiche, dell’uso dei contorni calligrafici tipici della grafica nipponica, ad alcuni artifici compositivi come i formati delle pitture, l’uso dei cartigli per inserire le composizioni, e altro ancora.
Hokusai, più di ogni altro artista giapponese, destò l’ammirazione generale in Europa: nei suoi lavori gli artisti occidentali trovarono, oltre agli elementi più peculiari della stampa del paese del Sol Levante, anche una genialità assoluta, così che i temi della sua opera entrarono a far parte prepotentemente del repertorio artistico europeo.
L’impostazione della composizione, le posture e le espressioni dei suoi personaggi e molte delle sue invenzioni furono utilizzate più o meno pedissequamente dagli artisti e dagli artigiani occidentali, così come la sua figura subì ben presto una sorta di “mitizzazione”, causata sia dalla visione della straordinaria messe delle sue opere, sia dalle notizie sulla sua eccentricità e sul suo stile di vita autonomo, che lo portò a condurre una carriera indipendente dalle scuole e dalle correnti prevalenti.
Edgar Degas ne disse: “Hokusai n’est pas seulement un artist parmi d’autres dans le mond flottant, c’est una ile, un continent, un monde à lui tout seul”. Si osservi dunque il suo Ballerine agli esercizi (1887 circa), soprattutto il moto della figura in primo piano, e lo si confronti con le due pagine con la Danza del servo nel III volume dei Manga, e in particolare con il movimento esemplificato nella figuretta in basso a destra nel foglio a sinistra.
Ancora più esplicitamente, Claude Monet si considerava “fidèle émule d’Hokusai“, e non appare perciò strano se Renoir definì la sua Terrazza a Sainte-Adresse del 1867: “Le Japonais aux petits diapeaux”, svelando che Monet aveva preso a modello la stampa Il Fuji visto dal Sazaido, della serie Le trentasei vedute del monte Fuji di Hokusai, non solo per la disposizione degli elementi nella composizione generale, ma anche per la sottostante visione della natura, nella quale sia Hokusai che Monet tentavano di penetrare sublimandone la più intima essenza. […]
Nel 1876 Monet dipinse La giapponese (Boston, Museum of Fine Arts) ritraendo sua moglie vestita di un originale kimono rosso e con in mano un ventaglio. Già a quell’epoca infatti la passione per i temi e le tecniche dell’arte giapponese si era diffusa in tal modo che non riguardava più solo il ristretto gruppo degli artisti delle avanguardie pittoriche, bensì un pò tutti gli aspetti della società occidentale. Era nato così un nuovo fenomeno culturale e di costume definito con l’esplicito appellativo di “giapponismo“. […]
Tra i maggiori collezionisti di opere giapponesi, e stampe in particolare ci furono artisti e intellettuali, tra cui Vincent Van Gogh che, col fratello Theo, organizzò un’esposizione delle stampe della sua raccolta nel “Café de Tambourin” di Parigi. Il pittore olandese non mancò più volte di dichiarare il proprio amore per l’arte giapponese assimilata attraverso le stampe dei maggiori maestri dell’ukiyo-e, tra cui lo stesso Hokusai, oltre a dedicarsi alla copia di alcune originali composizioni nipponiche, in altri casi inserite come sfondo ai suoi ritratti. […]
Una compartecipazione che risulta parimenti evidente anche nell’opera di Henri de Toulouse-Lautrec, il quale non mancò peraltro di farsi ritrarre fotograficamente vestito del tradizionale abito giapponese.
Rimandi alla grafica nipponica si percepiscono chiaramente soprattutto nella vasta produzione di manifesti pubblicitari dell’artista parigino: non solo nell’impostazione delle figure, che sembra derivare in molti casi dagli stessi personaggi dei Manga di Hokusai, ma anche per la scelta di una colorazione essenziale, distribuita a toni piatti entro contorni ben definiti. […]
Gli anni finali del XIX secolo costituirono perciò per Hokusai e la sua arte il momento della definitiva consacrazione anche in Occidente: l’artista fu già allora riconosciuto come uno dei vertici dell’espressività umana, al di là di ogni tempo e di qualsivoglia confine geografico.
Tratto dal libro Hokusai (La grande biblioteca dell’arte) – Collana Giunti
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