“Dall’età di sei anni ho la mania di copiare la forma delle cose, e dai cinquanta pubblico spesso disegni, tra quel che ho raffigurato in questi settant’anni non c’è nulla degno di considerazione. A settantatre ho un pò intuito l’essenza della struttura di animali e uccelli, insetti e pesci, della vita di erbe e piante e perciò a ottantasei progredirò oltre; a novanta ne avrò approfondito ancor di più il senso recondito e a cento anni avrò forse veramente raggiunto la dimensione del divino e del meraviglioso. Quando nè avrò centodieci, anche solo un punto o una linea saranno dotati di vita propria.
Se posso esprimere un desiderio, prego quelli tra loro signori che godranno di lunga vita di controllare se quanto sostengo si rivelerà infondato. Dichiarato da Manji il vecchio pazzo per la pittura”, così scrive Hokusai di se stesso nel colophon dei primi due volumi delle Cento vedute del monte Fuji (Fugaku Hyakkei), pubblicati tra il 1834 e il 1835.
In questa sorta di telegrafica autobiografia, composta quando aveva ormai raggiunto i settantacinque anni, l’artista dichiarò con estrema chiarezza i passi affrontati nel corso della sua già lunga vita; essa è inoltre una sorta di manifesto programmatico nel quale Hokusai espresse con serenità, nonostante la già venerabile età, la propria volontà di proseguire gli studi, di continuare a ricercare attraverso il pannello e l’inchiostro la perfezione, la bellezza e la verità, i segreti della vita.
Un approccio filosofico all’esistenza e al lavoro che trova radici nei precetti buddhisti, imbevuto inoltre di una modestia che si potrebbe dire caratteristica dell’artigiano, categoria alla quale Hokusai ricordò pubblicamente di appartenere.
La sua fede nel buddhismo era d’altronde nota, tanto che il nome Hokusai, letteralmente “studio della stella del nord” con cui firmò i propri lavori a partire dal 1796, fu scelto come segno di devozione nei confronti di Myouken, incarnazione di Hokushin, la stella polare, divinità del pantheon della scuola buddhista fondata da Nichiren nel XIII secolo, di cui Hokusai fu fervente seguace.
Nel corso della sua lunga carriera, durata oltre settant’anni, seguendo un costume molto diffuso in Giappone e che non riguardava solo gli artisti, Hokusai cambiò più volte il proprio nome come a sottolineare le più importanti svolte stilistiche della sua opera e del suo pensiero.
Questa abitudine, se da un lato ha creato non pochi problemi di attribuzione, è d’altro canto il più diffuso e coerente metodo utilizzato dagli studiosi per riconoscere i passaggi fondamentali della sua arte, variegata come quella di solo pochi altri artisti nella storia dell’umanità.
Tratto dal libro Hokusai (La grande biblioteca dell’arte) – Collana Giunti
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