Il culto di Amida e la Teoria della Salvezza
Un altro esempio di religiosità genuina era la devozione al Buddha Amida, con la speranza di essere accolti, dopo la morte, nella felicità del paradiso promesso a coloro che invocavano con fede il nome di Amida. Questa dottrina si fonda sui tre sutra del Buddha Amida.
I monaci del Culto di Amida
Il primo dei monaci giapponesi che visitarono la Cina e, al loro ritorno in patria, diffusero in Giappone il culto di Amida fu Ennin (792-864), un monaco della setta Tendai. Si recò per studi in Cina l’anno 838 e, al suo ritorno in Giappone, costruì un tempio nel quale predicava la misericordia del Buddha Amida e la pratica del cosiddetto nenbutsu, cioè l’invocazione “Nami-Amida-butsu” (“Lode al Buddha Amida”), unita alla fede profonda che il Buddha ci salverà e ci farà rinascere nel suo paradiso.
Un altro monaco che diffuse la dottrina dell’amidismo fu Kuuya (903-972), che percorreva le campagne aiutando i contadini a costruire ponti, bastioni e scavare fosse e pozzi per ottenere buoni raccolti e, al tempo stesso, predicava loro la salvezza che li aspettava nel paradiso di Amida, se avessero recitato il nome di quel Buddha con la convinzione di essere da lui salvati.
Ma il maestro più eminente della dottrina di Amida durante questo periodo fu Genshin (942-1017), monaco della setta Tendai. Nel 984 egli scrisse il trattato Oujou-shuu (“Raccolta degli insegnamenti essenziali per ottenere la rinascita”), e due anni dopo lo spedì in Cina dove fu accolto con grande successo. In questo tratto, che è anche uno dei classici della letteratura giapponese, Genshin segue la pratica del jougyou-zammai del sistema Tiantai di Zhiyi, adottata da Dengyou nel Tendai giapponese: deambulazione intorno alla statua di Amida recitando senza interruzione la formula del nenbutsu.
Dobbiamo anche ricordare il monaco Ryounin (1071-1132) che fondò una nuova devozione verso il Buddha Amida, chiamata Yuuzuu Nenbutsu (“trasferimento del nenbutsu”). Secondo questa devozione, la recitazione del nenbutsu non produceva meriti solo per chi recitava l’invocazione di Amida, ma questi meriti si comunicavano (yuuzuu) anche a tutti gli altri esseri senzienti, e la rinascita di un fedele nel paradiso di Amida portava alla rinascita di tutti gli esseri senzienti.
La dottrina del Buddha Amida si riallaccia ad una teoria del buddhismo che si sviluppò in India e in Cina, e si diffuse anche in Giappone in questo periodo, cioè il mappou shisou: la teoria escatologica del buddhismo.
La Teoria della Salvezza
La concezione buddhista della storia (e, si può dire anche della salvezza) è ciclica. La morte del Buddha, e il suo ingresso nel nirvana, segnano la fine di un ciclo e l’inizio del ciclo successivo. All’inizio del nuovo ciclo nascerà poi un nuovo Buddha (o, piuttosto, ci sarà una nuova apparizione del Buddha) che predicherà la sua dottrina per la salvezza di tutti gli esseri senzienti.
Ogni ciclo è diviso in tre periodi:
- Saddharma (in giapponese Shoubo), cioè l’era durante la quale esiste la vera dottrina del Buddha, tale dottrina viene osservata e praticata e, quindi, l’illuminazione è possibile;
- Saddharma Pratiruupaka (in giapponese Zoubou), cioè l’era durante la quale la dottrina insegnata e praticata non è più quella genuina, la pratica non è completa e, di conseguenza, l’illuminazione non è possibile;
- Infine l’era chiamata Saddharma Vipralopa (in giapponese Mappou), cioè l’era della completa decadenza, durante la quale gli esseri senzienti non possono compiere atti meritori e quindi non possono ottenere l’illuminazione.
I primi due periodi dureranno mille anni ciascuno, e il terzo diecimila.
Tratto dal libro Storia delle Religioni – Cina- Estremo Oriente
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