La musica nipponica, nata dalla parola, commenta ed accompagna il linguaggio del gesto e dell’azione arricchendone le pause, le interruzioni, i silenzi. Simbolistica ed evocativa, essa arriva a suggerire perfino il fruscìo della brezza sugli aghi di pino, lo scorrere di un ruscello, il canto degli uccelli.
Agli orecchi di un occidentale la musica giapponese, piena di dissonanze, di accordi di quinte e di ottave, avulsa da una ricerca di fusione col canto a cui fa da accompagnamento, lasciando che gli strumenti creino indipendentemente da esso un proprio tema ritmico, può apparire stridula ed aspra. Per il giapponese, al contrario, si tratta di un genere di musica che supera gli stessi confini melodici, intesa a rendere intimamente le espressioni della natura e i fremiti dell’animo.
La stessa sua gamma è diversa da quella occidentale, risolvendosi quasi interamente in tono minore, mentre i suoi strumenti sono del tutto privi di modulazioni a mezzo tono o a un quarto di tono. Nei tempi più antichi la musica servì di naturale accompagnamento alle invocazioni agli dei e andò popolarizzandosi col tempo. Sotto le influenze di musiche cinesi e indiane la musica assumerà un preciso carattere aulico e sarà quella musica di Corta a cui abbiamo vari riferimenti nel famoso Genji Monogatari della scrittrice Murasaki no Shikibu, la quale fu anche dama dell’imperatrice Akito tra la fine del X secolo e il principio del Xi secolo dell’era nostra […]
Cambia il genere di ispirazione e cambia con esso l’accompagnamento musicale. Accanto a quella eseguita dai flauti e dai tamburi era sorta fin da primi contatti del Giappone con gli altri paesi asiatici una musica detta Manyo dalla quale – con influssi di musiche cinesi e indiane – si svilupperà la musica di Corte che dal IX secolo in più servirà di melodico commento ai rituali religiosi, con l’aiuto non soltanto di strumenti a fiato, come il sho (organo a fiato, con ben settanta canne di bambù) ma anche di strumenti a pizzicato come il yamagoto (specie di lira).
All’epoca delle guerre civili invece, i trovatori (hoshi), per accompagnare le loro canzoni in memoria di epoche gesta usaano il biwa, uno strumento che può rammentare la nostra “viola d’amore”, che per vario tempo ebbe la più larga diffusione.
Altro strumento, assai più antico, importanto dalla Cina è il koto, simile al liuto o ad un’arpa piana con corde di seta che nei modelli più grandi raggiungono il numero di tredici, e in certe danze di Corte anche di trenta, prendendo allora il nome di soo-koto. Nel XV secolo, a causa di una terribile guerra intestina che decimò le popolazioni, il koto veniva suonato dai ciechi o dalle donne e soltanto un secolo dopo venne introdotto tra la gente del popolo […].
Simile al koto è anche il wagon, con 6 corde tese, dal suono musicale debole. Lo strumento, tuttavia, che ebbe, secondo gli storici, un’influenza, infinitamente maggiore di quanta ne avrà per secoli il Cristianesimo in Giappone, è il samisen. Fu un missionario italiano, il gesuita San Francesco Saverio, giunto il 15 agosto 1547 in Giappone per recarvi il culto del Cristianesimo, a diffondere un curioso strumento musicale che lui ed i suoi seguaci avevano portato dalle isole Ryukyu e che aveva il nome jamisen.
Si trattava di una specie di chitarra fornita di due corde tese sopra una cassa armonica coperta da una pelle di serpente alla quale, secondo una leggenda, un biwa-hoshi (suonatore di biwa) di Sakai, in provincia di Izumi, avuta in sogno una rivelazione divina, aggiunse una terza corda creando il samisen.
Assai più adatto degli strumenti precedenti e dello stesso biwa a commentare e scandire con le sue note gracili ed ineguali, indefinite e discordanti, il lirico urtarsi dei sentimenti d’amore, a sottolineare o ad accentuare l’arroventata angoscia degli amanti per i destini troppo sovente avversi, il samisen rappresenta come si è detto lo strumento chiave degli spettacoli di Joururi e in seguito del Kabuki.
Il samisen ricorda la sonorità degli strumenti arabi e in una orchestra occidentale potrebbe figurare in un complesso sinfonico arrogandosi la parte dei violini. Nella musica giapponese invece, ove il rapporto tra la parte strumentale e la parte melodica va considerato come una giustapposizione, il suono del samisen si sovrappone al canto senza prevalenze di sorta.
Tratto dal libro Storia del Teatro Giapponese di Pietro Lorenzoni
*** Se trovi gli articoli, le traduzioni e le recensioni di questo sito utili, per favore sostienilo con una donazione. Grazie! ***