Il Kabuki è il teatro popolare, ben differente dagli aristocratici Nou, perché se i nobili erano tenuti un tempo a rappresentare i Nou fastosi, ritenevano vile occuparsi o assistere a quelle rappresentazioni popolari che avvenivano negli antichi e primitivi teatri.
Prima della rivoluzione qualunque daimyou o hatamoto si sarebbe disonorato andandovi; gli attori erano banditi dalla società e questo bando era così rigoroso, che portava una specie di infamia sulle famiglie stesse cui appartenevano i comici; questo concetto non ci deve poi meravigliare, quando ricordiamo ciò che accadeva fra noi fino a pochi anni or sono.
E negli antichi tempi feudali in cui tutto era privilegio, non era strana l’esclusione; laddove è naturale che questo sentimento sia andato sparendo quando, con il riconoscimento dell’uguaglianza di tutti gli uomini, molte lotte e molti pregiudizi vennero a finire anche nella drammatica.
In quanto poi al carattere generale, trattandosi di una drammatica nella quale tutto è antico, scene, ispirazioni, ricerche e autori, è ben difficile che quest’aura moderna spiri in siffatto modo da variare sensibilmente il teatro e le sue manifestazioni; sicché si ricorrerà sempre come ispirazione all’antico, quantunque le maniere di trattare i comici e l’arte siano cambiate; il favore popolare dura sempre a proteggere le produzioni di tempi spariti dalla vita reale, ma rimasti impressi nell’animo del popolo.
Fonte: Estratto tratto dal libro Arte, Teatro e Religione nell’Antico Giappone scritto da Giovanni De Riseis ed edito da Luni Editrice.
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