Per via del peculiare percorso evolutivo della lingua, il giapponese moderno possiede un sistema di scrittura che permette, quantomeno in via teorica, di rappresentare lo stesso concetto in 4 diverse grafie: i kanji, le due serie di sillabari fonetici (kana) chiamati hiragana e katakana nati dalla semplificazione di caratteri cinesi, ed i caratteri latini, o roomaji; sono altresì importati dall’Occidente i sempre più usati numeri arabi.
La serie dell’hiragana ha caratteri tondeggianti, mentre il katakana è più squadrato; in ogni caso le due serie rappresentano entrambe le medesime 46 sillabe. Nella lingua moderna, la differenza tra i due sillabari consiste nella convenzione che riserva al katakana il compito di scrivere le parole o i nomi stranieri, le interiezioni e le onomatopee, o di servire come convenzione grafica per dare enfasi, in maniera analoga al grassetto o al corsivo nell’alfabeto latino.
L’hiragana è invece deputato a scrivere le particelle che marcano i casi, le preposizioni, i suffissi del verbo, è in pratica il “tessuto connettivo” della lingua giapponese, assolvendo il compito di collegare tra loro i kanji di sostantivi, verbi, aggettivi. Esso è il sillabario usato di norma, il primo imparato dai bambini. In hiragana si scrivono anche le parole i cui kanji sono troppo complessi, inadeguati al contesto o in disuso.
Per quanto riguarda i kanji, nel 1981, è stata approvata dal Governo una “Lista dei caratteri di uso comune” (常 用 漢 字 表 – Jouyou kanjihyou), che elenca 1945 caratteri da usare per le esigenze comuni della vita sociale: giornali, riviste, trasmissioni, leggi e testi ufficiali; essa tuttavia non intende proibire l’uso dei caratteri esclusi nel campo delle arti, nelle scienze ed in altri casi particolari.
La lista elenca la grafia e le letture annesse (on e kun) di ogni carattere. Sono presenti inoltre un elenco di letture speciali di determinati caratteri in determinate parole, ed una lista di 166 caratteri e letture particolari dei 1945 kanji di uso comune, utilizzabili per nomi di persona. Il massimo prestigio è dato dall’uso di un lessico cinesizzante. Si tratta tuttavia della scelta che comporta una maggiore pesantezza del discorso ed un più alto grado di inintelligibilità orale.
Per esempio, l’annuncio di resa dell’imperatore Showa, trasmesso alla radio alla fine della seconda guerra mondiale, ricco di espressioni e di vocaboli sino-giapponesi, fu addirittura scambiato da alcuni per una dichiarazione di vittoria. Una situazione di spiccata diglossia fu prevalente nel Paese sino a che le riforme del dopoguerra imposero una semplificazione della lingua, limitando il numero dei kanji e segnando la nascita del giapponese contemporaneo.
Altrettanto oscure possono essere le parole del 外 来 語 (gairaigo), letteramente “parola venuta dall’estero”, prestiti linguistici provenienti in gran parte dall’inglese, adattati alla fonologia giapponese e scritti in katakana.
Nel campo delle scienze sociali, questo fenomeno è ampiamente presente nell’economia, dove numerosi termini chiave sono presi dall’inglese: si avranno perciò イ ン フ レ infure e デ フ レ defure (inflation e deflation), コ ー ポ レ ー ト ガ バ ナ ン ス kooporeeto gabanansu (corporate governance), o termini “ibridi”, che affiancano katakana e kanji, come ミ ク ロ 経 済 mikuro-keizai per microeconomia ( 経 済 keizai è il vocabolo sino-giapponese per economia) o ゲ ー ム の 理 論 geemu no riron per Teoria dei giochi (理 論 riron significa appunto teoria, e ゲーム geemu è la versione giapponese di game).
Gli esempi di questo tipo potrebbero essere numerosi: si calcola che il 10% del lessico giapponese odierno sia costituito da questo tipo di prestiti linguistici; la percentuale sale al 13% nella lingua quotidiana, e al 25% nei periodici a larga tiratura. Talvolta il parlante deve scegliere tra coppie o terzetti di termini che si differenziano per la loro origine: autoctona, sino-giapponese o occidentale, e la cui differenza semantica può essere a volte notevole o consiste in sottilissime sfumature: ad esempio 宿 yado, 旅 館 ryokan, ホ テ ル hoteru ( albergo) o 思 い つ き omoitsuki, 着 想 chakusou, ア イ デ ィ ア aidia (idea) […]
Alcuni termini stranieri stanno iniziando ad affermarsi al posto dei termini autoctoni anche nel caso delle cose più tipicamente giapponesi, come ad esempio ラ イ ス raisu (da “rice”) al posto di 御 飯 gohan (riso bianco bollito), テ ィ ー tii (tea) invece di お 茶 ocha (tè). Esempio estremo dell’influenza dell’inglese sul giapponese è costituito dai termini del cosiddetto 和 製 英 語 wasei eigo, ossia “inglese made in japan”: espressioni nate in Giappone usando termini inglesi ai quali viene associato un significato del tutto particolare, tanto da renderle, almeno in principio, inintelligibili ai madrelingua inglesi.
Esempio noti sono サ ラ リ ー マ ン sarariiman (“salary man”, impiegato maschio), オ フ ィ ス レ デ ィ ofisu redi (“office lady”, spesso pronunciato anche “oo.eru” dalle iniziali “O.L.”, impiegata femmina), イ ン ス タ ン ト insutanto (“instant”, bevande o cibi liofilizzati), ガ ソ リ ン ス タ ン ド gasorisutando (“gasoline stand”, distributore di benzina, stazione di servizio).
Al pari dei caratteri sino-giapponesi, anche nel caso del “katakana english” non sono rari gli omofoni. Ciò avviene in primo luogo per le caratteristiche fonetiche del giapponese, in particolare per l’assenza della lettera “L”: così glass e grass diventano entrambi グ ラ ス gurasu, royal e loyal ロ イ ヤ ル roiyaru; a ciò si deve aggiungere l’obiettiva difficoltà di rendere i suoni delle lingue straniere attraverso un sistema fonetico piuttosto limitato, l’assenza di consonanti isolate, per cui sheet e seat diventano entrambi シ ー ト shiito, ed infine la tendenza ad abbreviare e contrarre le espressioni più lunghe per ottenere parole di quattro more, alle quali l’orecchio giapponese è più abituato.
Per questi motivi rintracciare il termine inglese originario può essere talvolta un esercizio non semplice; ad esempio nei seguenti termini di uso comune, Kon コン è di volta in volta la forma troncata di una parola (inglese) diversa: pasokon (personal computer), mazaakon (mother complex), eakon (air conditioner), rimokon (remote control), kurikon (Christmas concert), shisukon (system component), dorakon (driving contest), zenekon (general contractor) asukon (asphalt concrete).
La funzione di questi prestiti linguistici può essere quella di colmare un vuoto lessicale: tuttavia il “katakana english” può assolvere a due altre importanti funzioni: quella di trasmettere il fascino della modernità e dello stile di vita occidentale, ed in questo senso è usato in maniera massiccia nella pubblicità, o quella di servirsi della patina dell’inglese in funzione eufemistica, nel caso ad esempio シ ル バ ー shirubaa, “silver” usato per riferirsi alle persone anziane (シ ル バ ー ラ イ フ shirubaa-raifu, “silver life”, essere in pensione; シ ル バ ー シ ー ト shirubaashiito, “silver-seat”, sono i posti riservati agli anziani sui treni), シ ン グ ル マ ザ ー shinguru-mazaa per single-mother, usato al posto del più esplicito 未 婚 の 母 mikon no haha, letteralmente “madre non sposata”, ハ ロ ー ワ ー ク haroo-waaku, “hello-work”, che suona decisamente più amichevole di 職 業 安 定 所 shokugyouanteijo, che è il termine sino-giapponese degli uffici di collocamento.
Alcuni di questi prestiti sono diventati espressioni di uso comune, tanto che in contesti non particolari l’uso del vocabolo sino-giapponese può risultare inadeguato e destare stupore, incomprensioni, ilarità. Tuttavia, a fronte della presenza in certi casi massiccia di questi termini, l’uso di un diverso “set” di caratteri permette paradossalmente di preservare la purezza del giapponese classico: le parole di origine straniera infatti saltano subito all’occhio e marcano una distinzione rispetto alla lingua nazionale classica.
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