I 21 cicli e la Fondazione dello Stato
Coi primi decenni del secolo VI, agli albori della storia scritta d’un certo affidamento, ci troviamo dinanzi ad una dinastia ormai potente di sovrani, i cui domini dovevano occupare la maggior parte occidentale dell’isola di Honshuu (la più vasta dell’arcipelago), estendendo la propria influenza verso Est fino al monte Fuji (oggi compreso nella regione di Tokyo), ed a Sud su buona parte dell’isola di Kyuushuu.
Uno dei primi sovrani che viene dai più riconosciuto come autentico personaggio storico è il re Wohodo (detto poi Keitai, quando nel secolo VII tutti i sovrani passati furono rinominati secondo criteri d’onomastica fausta e significativa); il suo regno si estende dal 507 al 531.
La dinastia Yamato, approfittando abilmente dell’assenza di scrittura, della facilità di simili circostanze di costruire ed abbellire il passato a posteriori, non solo ha unificato le varie serie di predecessori in un’unica dinastia, con sovrani incoronati tennou dai nomi gloriosi e di solenne auspicio, ma ha creato una straordinaria cronologia giungendo, per l’insediamento del primo re Yamato Iware-biko (detto poi Jimnu), alla data fantastica del 660 a.C.
Il procedimento viene spiegato con molta chiarezza dal Kamstra. Fondamento nella cronologia dell’epoca erano dei cicli sessantennali (di origine cinese). Pare che 21 cicli costituissero un “bo”, una “grande era“, all’inizio e alla fine della quale dovevano situarsi eventi di straordinario rilievo. Ricordiamo inoltre che queste nozioni erano popolarissime all’epoca in cui fu reggente del Giappone il principe Shoutoku (593-631).
Tra le grandi gesta memorabili del principe vi fu l’emanazione di un documento basilare, chiamato poi la “Costituzione dei 17 articoli”, che stabiliva certe direttive di massima da susseguirsi nel governo del paese. Ciò avveniva nel 601; dunque il bo aveva nel presente una sua testa di ponte accertata.
Se si procede ora indietro nel tempo per 21 cicli sessantennali (1260 anni), l’evento epocale che poteva costituire l’apertura della “grande era” è la fondazione del regno-impero da parte di Kamu-Yamato Iware-biko (Jimnu), allora ritenuto l’evento storico, niente affatto mitico.
Il salto all’indietro di 1260 anni ci conduce quasi esattamente a quel 660 a.C., data presa dagli autori del Kojiki e del Nihongi per la fondazione dello stato. Siamo dunque di fronte ad un caso straordinario: non è la storia che genera la cronologia, bensì la cronologia che genera la storia.
L’arrivo del Buddhismo in Giappone
Coi secoli V, VI e VII le comunicazioni tra Giappone e continente divennero frequenti, abituali. Poco dopo il 400 si ha la notizia dei primi scribi coreani impiegati dai governanti giapponesi: per alcune generazioni l’arte misteriosa, quasi magica, della scrittura ideografica fu monopolio degli immigrati, ma ben presto gli isolani impararono l’uso del pennello ed eguagliarono in tutto i loro maestri.
Intorno al 538 (o al 552, non è ben chiaro) un re coreano inviò al collega giapponese una statua buddhista, insieme a sacre scritture, oggetti liturgici e un certo numero di monaci e monache pienamente consacrati; ebbe così inizio la conversione del paese alla nuova grande religione universale del continente. Insieme al buddhismo, e con l’uso sempre più diffuso della lettura, giunsero anche testi e nozioni di filosofia confuciana, di mistica taoista, di protoscienza cinese.
In altre parole l’intero panorama della cultura e della spiritualità isolana subì un rinnovamento profondo. Non solo; questi contatti continentali arricchirono l’architettura, l’urbanistica, la scultura e la pittura, la musica, le lettere, i costumi, i gusti e le abitudini della vita civile.
Tratto dal libro Storia delle Religioni – Cina- Estremo Oriente
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