La storiografia yamatologica colloca la fase formativa del potere centralizzato in Giappone a cavallo di due periodi denominati Yayoi (IV secolo a.C – IV secolo d.C.) e Yamato (IV secolo d.C – 710).
Il primo periodo – appartenente all’epoca protostorica per la quale non disponiamo di fonti scritte giapponesi ma solo di limitate e frammentarie fonti cinesi e di dati archeologici – è caratterizzato dall’affermazione di un modello di civiltà basato sulla coltivazione del riso.
L’introduzione della risicoltura determinò la formazione di comunità locali legate al territorio, nel cui ambito si affermarono come gruppi dominanti gli uji, termine che designa gruppi parentali ampi, del tipo dei clan.
Il potere all’interno di queste comunità era marcato dall’elemento sacrale e dai rapporti di parentela: ogni uji vantava all’origine del proprio clan un antenato divino (ujigami) che era in costante comunicazione con il capo del clan e ne legittimava il potere. Il capoclan era quindi, in primo luogo, un capo spirituale che garantiva la protezione da parte delle divinità locali attraverso la pratica del culto dello shintou (via degli dei).
Dalla competizione fra i clan principali venne emergendo, fra I e III secolo d.C., un clan stanziato nella regione Yamato (nella zona dell’attuale provincia di Nara), destinato a segnare nei tempi lunghi la storia giapponese, poiché è ad esso che la casa imperiale fa risalire le proprie origini.
Il clan Yamato, che vantava come suo ujigami la massima divinità celeste, la dea del Sole Amaterasu Omikami, riuscì ad estendere progressivamente la propria egemonia sugli altri uji con la maggior parte dei quali stabilì vincoli di parentela.
Un contributo decisivo alla fase successiva di concentrazione del potere venne poi dai contatti con il vicino continente, i quali, a partire dalla metà circa del VI secolo, veicolarono in Giappone la religione buddhista, i modelli istituzionali dei grandi Imperi Sui e Tang, il sistema di scrittura cinese.
E’ a questi elementi che si ricollega un momento di transizione assai rilevante, in primis sul piano storico generale: l’introduzione della scrittura cinese condusse infatti, nel giro di due secoli, alla produzione di documenti scritti i quali, dal punto di vista storiografico, determinarono per il Giappone il passaggio dalla fase protostorica a quella propriamente storica.
Un altro fondamentale sviluppo, conseguente agli influssi del vicino continente fu rappresentato dalla creazione di uno Stato imperiale sul modello cinese. L’ideologo delle prime riforme istituzionali sui modelli continentali, è ritenuto il Principe Shoutoku Taishi (574-622), del clan collaterale Soga, fervente buddhista e buon conoscitore della cultura cinese.
A Shoutoku è attribuita la stesura della Costituzione dei diciassette articoli (Kenpou Juushichijou), un testo normativo che, rielaborando concetti confuciani, buddhisti e taoisti, prospettava l’edificazione di uno stato retto da un governo burocratico e costruito su di un ordine sociale gerarchico in cui si perseguiva il fine supremo dell’armonia (wa).
Il disegno ideale della Costituzione di Shoutoku trovò attuazione con la riforma Taika (espressione che significa “grande cambiamento”), avviata nel 645 dalla corte Yamato. La riforma portò sotto il controllo del sovrano tutta la terra e la popolazione su di essa stanziata, istituì un registro di censo ed un nuovo sistema di tassazione, organizzò il territorio su tre livelli amministrativi guidati da funzionari di nomina governativa, creò un’amministrazione centrale composta da un Dajoukan (Consiglio di Stato) e da otto ministeri.
A questo punto la creazione del governo centralizzato era stata realizzata ed a sanzionare formalmente il potere imperiale intervennero nel corso del Settecento i famosi Ritsuryou, raccolte normative di natura penale ed amministrativa che si ispiravano ampiamente al codice Tang, pur con riadattamenti al contesto ed a regole consuetudinarie locali.
I Ritsuryou, considerati l’ultimo atto del processo di riforme avviate da Shoutoku Taishi, gettarono le basi di un apparato istituzionale e di una serie di princìpi normativi destinati a sopravvivere, pur con alterne fortune, fino al XIX secolo.
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