Nella composizione musicale giapponese non esistono necessariamente ricerche di armonia e neppure contrappunti. C’è tuttavia un termine curioso nella terminologia melodica giapponese che è il ma, vale a dire all’incirca «il senso della misura» che regola la saldatura della musica col canto.
L’imperativo del ma – dicono ancora i tecnici musicali – fa sì che la musica giapponese possa fare a meno di altre cose. Non vi si ritrovano le variazioni della musica occidentale, esiste appena un ritmo ed una altezza di suoni che dominano la forma musicale e che il canto colora. Infatti l’essenziale è costituito dalla progressione parallela dei due ma che si svolgono come i due bordi di un makimono (pittura su carta o stoffa che si arrotola) «scoprendo di volta in volta immagini, schizzi, oppure soltanto linee o tracce di scrittura».
Gli strumenti musicali, […], vanno moltiplicandosi col tempo e con il popolarizzarsi degli spettacoli, dal teatro di marionette al Kabuki. Si sente il bisogno di immettere lo spettatore nella viva realtà dello spettacolo con l’ausilio di strumenti che non soltanto ne commentino la parola o la danza, ma sottolineino, sia pure con un certo simbolismo, le voci della natura, la magia di una pausa, la vivacità di una azione nei suoi minimi passaggi. Così gli strumenti si moltiplicano nella fantasia dei realizzatori della scena, la quale è imperniata sovente su un verismo portato al limite estremo.
Si arriva a tal modo ad introdurre nell’accompagnamento musicale delle specie di flauti di bambù, i quali, come il nokan, servono soltanto per imitare il rumore delle ali di certi uccelli quali l’alcione, l’uccello da preda, il nibbio; oppure come il komabue, per ottenere un suono più adatto ad altre voci più melodiose, mentre un altro strumento, il matsumushi (specie di gong), suonato insieme all’orugoru (strumento di 4 campane a toni differenti), serve invece ad imitare il rumore degli insetti.
L’unione ritmica di un taiko (il tamburo poggiato a terra […]) con il dora (altro gong) servono ad indicare, per esempio, gli esorcismi che avvengono in un tempio o in mezzo ad un giardino fiorito. Abbiamo infine lo shoko, uno stretto gong di bronzo usato particolarmente nel Gagaku.
Tra gli strumenti a fiato che accompagnano certe danze di Corte vanno ricordati lo hichiriki, specie di oboe primitivo composto di un breve tubo a nove buchi con doppia canna, il ryuteki, un flauto orizzontale con sette buchi usato per eseguire delle variazioni sul tema principale e il komabue o flauto coreano, con sei fori.
Altri strumenti a carattere evocativo sono il hontsurigane, una piccola campana pendente usata spesso prima del dramma o della danza Kabuki, che indica il passaggio del tempo, il chappa, una specie di cembalo, descrittivo di determinate feste religiose, il mokkin, uno xilofono o timpano indiano che accompagna solitamente nenie e danze sacre e lo yotsudake uno strumento composto di 4 pezzi di bambù, suonato con ambedue le mani, che era usato in origine per accompagnare i canti dei mendicanti.
Gli strumenti a percussione in unione al samisen ed al koto, costituiscono gli strumenti principali del Kabuki, sia che vengano suonati sul palcoscenico, sia che il loro suono giunga da dietro le quinte.
Il tamburo più grande, poggiato su di una specie di sgabello piuttosto elevato, è l’okaido, che possiede speciali caratteristiche di suono atte a descrivere particolari fenomeni metereologici, come pioggia violenta, grandine, mare agitato, oppure l’apparizione di fantasmi, di assassini o la intrusione di un ladro in un’abitazione. L’obyoshi è un tamburo usato invece per indicare l’apertura e la chiusura dello spettacolo o per scene di natura religiosa.
Altri tipi di tamburo sono il sun no tsuzumi, usato in certe danze di origine coreana e il kakko, a due facce, che viene posato orizzontalmente su di un piedistallo a breve distanza da terra dinanzi al suonatore inginocchiato. Non mancano elementi caratteristici dal bagaglio di un normale rumorista, come l’ekiro, una collezione di anelli di metallo che evocano di volta in volta il rumore degli zoccoli dei cavalli in corsa o il calpestìo dei piedi.
Completano gli strumenti orchestrali varie specie di «legni» (ki) che hanno anch’essi funzione descrittiva o evocativa ed agiscono specialmente in alcuni momenti psicologici dello spettacolo. Così, allorché in un’opera teatrale l’attenzione del pubblico deve concentrarsi su di un particolare passaggio drammatico è il suonatore del ki (una breve asta di legno, maneggiata dal suo esecutore collocato sulla sinistra della scena, con le spalle al pubblico come un direttore d’orchestra) a sottolineare con alcuni colpi l’importanza psicologica dell’azione.
Il suonatore del ki marca le attese, le decisioni improvvise del personaggio, l’avviarsi verso la conclusione del dramma, oppure l’apparizione della luna o del sole e la particolare emozione suscitata da un colpo di scena improvviso o da una pausa ricca di contenuto psicologico.
Prima della rappresentazione, a tale proposito, l’esecutore del ki si concerta con l’attore principale allo scopo di determinare accuratamente il momento e l’intensità dei colpi di ki che dovranno commentare l’azione. Altri “legni” caratteristici sono l’hyoshigi (due brevi pezzi di legni a forma di lingotto), il kimuta (a forma cilindrica, più sottile in cima) i shaku (che hanno l’aspetto di due spatole da pittori più larghe da un lato) e gli yotsudake (di forma rettangolare, un lato dei quali a superficie convessa).
Seguono poi altri strumenti come il rei (una piccola campana a mano che accompagna determinati canti), il surigane ed il so-ban, due diverse specie di gong usati in occasioni festive e religiose.
Tratto dal libro Storia del Teatro Giapponese di Pietro Lorenzoni
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