Cucinare il riso sul piano cottura può nascondere molte insidie: se si aggiunge troppa acqua si finisce per ottenere del porridge, se non si calcola bene il tempo, si finisce per ottenere del riso poco cotto. Per alcuni però, sembra che cucinare il riso sia semplice come premere un pulsante! In un recente video, il comico malese Nigel Ng ha reagito malamente contro un personaggio della BBC solo perché stava cucinando il riso in una casseruola piuttosto che usare un cuociriso.
“La seconda guerra mondiale è finita, usa la tecnologia!”, ha ammonito il comico sul suo profilo Instagram rivolgendosi agli spettatori. Ha ragione.
Il cuociriso automatico è un’invenzione giapponese che risale a metà del secolo scorso e che ha reso la sisifea preparazione culinaria facile come misurare acqua e grano e premere dopo semplicemente un pulsante. Questi dispositivi sembrano saper fare tutto: se aggiungete semplicemente acqua e riso nelle giuste proporzioni è quasi impossibile sbagliare poiché sono macchine che smettono di cucinare esattamente nel momento in cui il riso è alla giusta cottura. Ma creare un cuociriso così, automatico, non è stato facile; ci sono voluti decenni di tentativi, fatti da alcuni dei più grandi nomi della tecnologia giapponese.
Per secoli, la maggior parte dei giapponesi ha preparato il riso con un Kamado, una sorta di fornello a forma di scatola con sopra una pesante pentola di ferro. Usarlo è “dolorosamente” complicato; cucinare il riso in questo modo, infatti, secondo quanto racconta l’editorialista e scrittrice sul cibo Makiko Itoh, vuol dire saper modulare il calore: elevato fino a che non bolle l’acqua e il riso, poi fuoco basso e poi di nuovo alto dopo. “E fare questo, con una cucina a legna è difficile”. Ogni giorno, le donne giapponesi si alzavano all’alba, lavoravano e sudavano per ore per preparare il riso. (Esiste un ristorante oggi a Nara, in Giappone, che offre un’esperienza di cucina con il metodo Kamado che inizia con 15 minuti di pompaggio con un mantice per attivare le fiamme).
L’alba del cuociriso, osserva Itoh, iniziò nel 1923 quando la Mitsubishi Electric ne lanciò un semplice modello industriale; negli anni ’30, l’esercito giapponese fece sfoggio di un fornello multifunzione per il campo ma occorreva ancora tempo prima che i cuociriso arrivassero nelle case e mancava ancora un’ostacolo molto difficile da superare: “Con il riso giapponese, quello che si cerca è che parte dell’amido si converta in zucchero così che il riso abbia un sapore più dolce”, spiega Itoh. Mancavano poi altri elementi fondamentali che permettessero di ottenere una consistenza appiccicosa, grani separati e molta umidità, “tutte cose difficili da ottenere”, afferma ancora Itoh, “senza un metodo automatico, e le persone sono molto esigenti su come il loro riso debba essere”.
Un’importante azienda giapponese inciampò sul primo ostacolo proprio a causa del riso scadente. Nel 1945, mentre il Giappone era ancora devastato dalla guerra e si ritrovava a dover affrontare gli anni della ricostruzione, un ingegnere di nome Masaru Ibuka aprì una radio officina, scegliendo come primo quartier generale la stanza abbandonata del centralino telefonico di un grande magazzino vuoto. Fu lui l’anno successivo, a pronunciare le parole divenute poi un’icona per l’azienda che nel 1958 sarebbe diventata la Sony: “Creare un luogo di lavoro ideale libero, dinamico e gioioso”.
Per quanto brillante potesse essere il futuro, gli ingegneri di Ibuka vissero comunque nel Giappone del dopoguerra; la loro paga per il fissaggio delle radio spesso era solo del riso crudo. Questa circostanza portò alla primissima invenzione della neonata azienda: invece di creare un’elegante radio, si creò un cuociriso elettrico. Era ingegnoso ma ancora grezzo: rustiche tinozze di legno rivestiti con filamenti di alluminio.
Per l’epoca fu una buona idea. La maggior parte del carburante era costoso ma l’elettricità era relativamente abbondante. Ibuka acquistò un camion di tinozze di legno da trasformare in cuociriso e grazie ad un amico che gli forniva il riso, poté anche testarli. “Ma tali dispositivi non funzionano bene se il riso non è di buona qualità”, affermava Ibuka. “Se il riso non assorbe l’acqua in modo uniforme, lo si rende friabile e secco oppure al contrario molliccio e spezzato”.
“Ricordo che stavo seduto lì al terzo piano a Shirokiya, mangiando giorno dopo giorno riso che non era commestibile”, raccontò lo stesso Ibuka tempo dopo. Con le tinozze che coprivano tutte le pareti del loro magazzino, si disperava di non essere stato in grado di realizzare un dispositivo che funzionasse, così ben presto tornò a riparare le radio. La Sony non tornò più a produrre i cuociriso, ma il loro museo aziendale a Shinagawa conserva e tiene in mostra come prototipo quel “secchio rustico”.
E mentre il dispositivo creato dalla Sony fu solo un breve lampo nella storia del cuociriso, altri grandi nomi dell’elettronica giapponese vollero perseguire quell’idea; furono realizzati molti fornelli per il riso alimentati con l’elettricità che però necessitavano di essere costantemente monitorati. In una sola parola: non erano ancora automatici.
Si dovrà aspettare un venditore della Toshiba per poterne vedere uno. All’inizio degli anni ’50, Shogo Yamada era un venditore che viaggiava in lungo e in largo per tutto il Giappone per promuovere la lavatrice elettrica realizzata dalla Toshiba. Durante i suoi viaggi chiedeva spesso alle casalinghe quale fosse il loro lavoro più oneroso in casa e la risposta era quella di dover cucinare il riso tre volte al giorno, usando ancora il metodo Kamado. Quando uno sfortunato creatore di scaldabagni, Yoshitada Minami, andò da Yamada in cerca di lavoro, quest’ultimo gli propose il progetto. E poiché cucinare il riso era un lavoro da donne, Minami passò gran parte della sua ricerca a sua moglie Fumiko.
Secondo la Helen Macnaughtan nella “Building up Steam as Consumers: Women Ricecookers and Consumption of Everyday Household Goods in Japan”, l’invenzione del cuociriso non aveva inizialmente ricevuto alcuna priorità di realizzazione, specie poi quando i supervisori di Yamada alla Toshiba avevano già visto la Mitsubishi e la Matsushita (la futura Panasonic) fallire nella creazione di un dispositivo simile. Credevano anche che qualsiasi donna, disposta a rinunciare al tempo, allo sforzo e al sonno necessari a preparare il riso perfetto sarebbe comunque rimasta “delusa”. Inoltre, aggiunge anche Itoh, “tutte le persone che di solito prendono importanti decisioni sono uomini che raramente, se non addirittura mai, entrano in una cucina”.
Minami sapeva il “come” meccanico ma era la moglie Fumiko che sapeva veramente come cucinare il riso. Non solo, lei poi lo faceva ogni giorno su una tradizionale stufa in kamado per sfamare una famiglia con sei figli. Per guadagnare tempo, Minami prese un prestito mettendo la casa di famiglia come garanzia, mentre Fumiko continuava a studiare e a testare i cuociriso esistenti sul mercato.
Generalmente, quando l’acqua in una pentola di riso è stata completamente assorbita o è evaporata, la temperatura del contenitore aumenta rapidamente (dal momento che la temperatura dell’acqua non può superare i 100° C, ma quella del riso sicuramente sì). L’ingrediente segreto si rivelò essere un interruttore bimetallico, fornito a Yamada dalla Toshiba, che avrebbe spento il cuociriso una volta che la temperatura avesse superato nella pentola i 100°C.
Fumiko testò senza sosta i prototipi. Cucinava il riso sul tetto, al sole e all’aperto durante le fredde mattine. Impedire alla pentola di rilasciare calore si era rivelata una vera sfida, fino a che Yamada non si ricordò che in Hokkaido, dove gli inverni sono molto rigidi, le pentole venivano realizzate isolate. Il prodotto finale consisteva quindi in due pentole, una dentro l’altra, ricoperte da tre strati di ferro. Finalmente il cuociriso di Toshiba era pronto per essere messo in funzione.
Inizialmente i cuociriso risultarono costosi e ciò rese le casalingue riluttanti all’acquisto, scrive Macnaughtan. Ma una volta che Yamada, in viaggio ancora una volta per le vendite, dimostrò loro che il cuociriso poteva preparare non solo il riso ma anche il takikomi gohan, un piatto di riso sofisticato fatto con una salsa a base di soia che spesso si bruciava, allora si convinsero. Entro l’anno la Toshiba riuscì a produrre 200.000 cuociriso al mese.
Il successo della Toshiba, osserva il professor Kazuo Usui, scatenò una vera e propria guerra per la produzione dei cuociriso. L’anno successivo, la Matsushita Electric, ora meglio conosciuta come Panasonic, si gettò nella mischia. I dipendenti della compagnia, scrive Yoshiko Nakano nel “Where There Are Asians, There Are Rice Cookers: How “National Went Global Via Hong Kong, erano sconvolti all’idea che la Toshiba li avesse battuti sul tempo. Dopo tutto, la Matsushita era conosciuta per i suoi elettrodomestici, “è stata quindi una vergogna che un elettrodomestico così conveniente per la casa come il cuociriso fosse stato prodotto dalla Toshiba, una compagnia meglio nota per la produzione di macchine industriali”, scrive Nakano. Il presidente della Matsushita, Kokosuke Matsushita, fece una tale lavata di capo ad un suo dipendente che poi ebbe lui stesso paura che il dipendente si sarebbe suicidato.
Quel dipendente invece, Tatsunosuke Sakamoto, era un appassionato di cuociriso. Il suo sogno, secondo Nakano, era quello di sviluppare un mercato internazionale per macchine adatte a cucinare il riso e il suo obiettivo era quello di superare la Toshiba. La Matsushita aveva quindi bisogno di realizzare un cuociriso fatto da una sola pentola, che avrebbe utilizzato meno metallo così da avere un dispositivo anche più economico. Matsushita lanciò allora sul mercato il suo cuociriso EC-36 con una sola pentola, nel 1956. Nel 1959, Sakamoto, divenuto capo del reparto Rice Cooker, collaborò con Willam Mong, il distributore di prodotti Matsushita con sede a Hong Kong. “Modificando il cuociriso per i consumatori di Hong Kong, la Matsushita aveva imparato come adattare il cuociriso ai gusti internazionali”, scrive Nakano, “riuscendolo a portare prima in Asia, poi in Medio Oriente e poi in tutto il mondo”.
L’Istituto Smithsnonian tiene in mostra un cuociriso Matsushita nella sua collezione, ma si tratta di un semplice apparecchio con un solo pulsante per la funzione di riscaldamento. Rayna Gree, curatrice emerita del National Museum of American History, ha usato il cuociriso per 30 anni dopo che suo padre e la moglie cinese gliel’avevano portato dopo un viaggio in Singapore all’inizio degli anni ’70.
Fu più o meno nello stesso periodo, affermano dal Smithsnonian, che tanti cuociriso “vennero rapidamente adottati dalle vecchie comunità incentrate sul riso che c’erano nel Sud Carolina e nella Louisiana oltre che dai nuovi centri culturali americani che sempre più si interessavano a cucine e pratiche culinarie alternative”. In un certo senso, il sogno di Sakamoto aveva raggiunto l’apice.
Nello stesso Giappone, più del 50% delle famiglie aveva già un cuociriso automatico a pochi anni dalla sua invenzione. “Ha assolutamente rivoluzionato il lavoro delle donne”, dice Itoh. “Era uno dei principali elettrodomestici che ogni donna o ogni famiglia voleva in casa”. La pubblicità del primo cuociriso della Toshiba sottolineava ripetutamente che avrebbe liberato le donne dallo “stare in piedi o accovacciate vicino al kamado per tenere continuamente d’occhio la cottura del riso”, scrive Macnaughtan. Però, mentre il cuociriso ha fermato il loro duro lavoro davanti al kamado, non è riuscito ad essere quella conquista di piena libertà per le donne. Sebbene possa aver concesso ad alcune donne il tempo e la possibilità di entrare nel mondo del lavoro, almeno parzialmente, Macnaughtan conclude, ha dato anche loro più tempo da dedicare comunque ad altre faccende domestiche.
In questo giorni, Itoh, definisce come la varietà di cuociriso oggi disponibile sul mercato sia “assolutamente sconcertante”. Alcuni hanno anche elementi di esclusività. “Molte persone vogliono, come qualsiasi elemento elettronico, il più nuovo, il più recente, il migliore che ci sia e che possa rendere il riso sempre meglio, più di quanto non sia già”, dice citando modelli di lusso creati da marche come Vermicular e Balmuda.
“Un buon numero di cuociriso per la casa, afferma Itoh, utilizza una tecnologia in grado di ricreare il sapore del riso come fosse cotto al kamado, metodo ancora oggi disponibile in alcuni ristoranti tradizionali”. Su questo è entrata in gioco anche la Toshiba. Uno dei loro cuociriso infatti, un elegante apparecchio a forma di scatola, che ha ricevuto un premio nel 2016 per il design, è in grado di “emulare la cottura del kamado, l’antica stufa a legna o a carbone”, afferma l’azienda.
Come ha scritto Itoh in un articolo del 2017, “solo lo sviluppo di cucine per riscaldamento a induzione, create negli anni ’80, consentiva il tipo di alte temperature emesse da una stufa a legna”. Però per coloro che cercano proprio il sapore del kamado, anche i cuociriso più semplici ed economici possono essere la scelta migliore. Senza microcomputer o touchscreen, funzionano comunque usando un solo pulsante e sono capaci di interrompere la cottura una volta che il contenitore supera i 100°C.
La stessa Itoh non ha bisogno del cuociriso: lei riesce a cucinare il suo riso utilizzando i fornelli. “L’ho fatto centinaia di volte e so cosa fare!”. Dal terremoto in Giappone del Marzo 2011, osserva, con i conseguenti blackout, molte persone hanno cercato di fare meno affidamento sulla tecnologia e di più sulle proprie capacità, come anche quella di fermentare il cibo con l’aceto e coltivare le proprie verdure.
Il numero di persone che ora stanno imparando a cucinare il riso senza tecnologie automatiche è piccolo ma significativo, dice. “Mia madre è tornata a farlo in quel modo. Mia zia è tornata a farlo in quel modo”. “Io non coltivo le mie verdure, però il riso me lo cucino da sola”. Con questo non si vuol dire che bisogna vergognarsi ad usare il cuociriso, che anche nelle forme e strutture più semplici sono un’elegante e pratica soluzione ad un lavoro assai impegnativo. Ha solo un difetto, non si lava il riso prima di cuocerlo. Invece bisognerebbe lavarlo, il riso.
Fonte: Articolo tratto dal sito AtlasObscura scritto da Anne Ewbank
Traduzione: Annalisa Inserillo
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