Si chiama “I Will Not Work Overtime, Period!”, espressione che potremmo tradurre con “Col cavolo che faccio gli straordinari” ed è una serie tv che sta appassionando i telespettatori giapponesi.
Una dipendente di un’azienda fittizia deve conciliare ufficio e famiglia senza cedere alla tentazione (perché in Giappone di tentazione si tratta) di fare straordinari e di fermarsi qualche ora in più in ufficio.
Lo scopo è di uscire entro le 18, con buona pace del fatto che mille ostacoli si frapporranno tra lei e il suo proposito. Prima di tutto, ci si metterà di mezzo l’etica del lavoro (in Giappone è convinzione comune che il lavoro venga prima di tutto); poi il fatto che il suo rifiuto di fare gli straordinari abbia delle conseguenze sui colleghi, che si ritrovano a fare anche il suo lavoro extra, e sull’azienda; infine che il suo rifiuto possa danneggiare la sua carriera.
Il programma, ispirato a un libro omonimo, sta incuriosendo il Giappone, Paese che vive una “epidemia di straordinari”. Un rapporto del governo ha stimato che, nel 2017, oltre un quarto dei dipendenti a tempo pieno lavorava in media più di 49 ore a settimana, il che significa circa 10 ore al giorno per 5 giorni e che ogni anno il superlavoro causa circa 190 vittime (esaurimenti nervosi, attacchi di cuore, suicidi).
Una situazione a cui il governo sta cercando di porre rimedio sia con una nuova legge, approvata ad aprile, che limita le ore di straordinari a non più di 45 al mese (che comunque significa due ore e mezzo al giorno in più), sia con l’introduzione del programma Premium Friday, che prevede che l’ultimo venerdì del mese si possa uscire in anticipo.
Misure invero molto parche, ma che agli occhi dei lavoratori giapponesi appaiono come una enorme concessione. E per alcuni, forse, una perdita di tempo prezioso sottratto al lavoro.
Fonte: Articolo scritto da Luciana Grosso per Il Venerdì di Repubblica n.1633 del 5 luglio 2019.
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