Gli occidentali hanno, per tradizione, sempre ammirato l’individualismo e tutti i grandi progressi in ambito scientifico, sociale e filosofico sono sempre stati frutto di pensieri individuali e “lavori solitari”, spesso ostacolati inizialmente dal resto della massa e dalla derisione.
In Giappone, invece, sin da sempre ci sono state poche occasioni in cui l’agire e il pensare da soli sia stato culturalmente e socialmente approvato. L’individualismo è stato sempre visto praticamente come un tabù, e la sua manifestazione nel corso della storia è stata qualche volta anche causa di severe conseguenze, incluso l’isolamento, o in casi peggiori la morte.
Nei secoli dell’era feudale giapponese, la gente è stata sistematicamente condizionata dall’educazione dei cittadini a vivere e lavorare in gruppi, prendere decisioni per consensi e di conformarsi alla volontà della maggioranza. L’individualismo era dunque considerato con sospetto, come un comportamento antisociale e una minaccia per il governo.
Una delle rare occasioni, ma anche di maggiore rilevanza, in cui un’azione individuale era non solo approvata ma anche altamente lodata, era quando un guerriero, con l’approvazione del suo comandante, sfidava un nemico ad incontrarlo in un combattimento individuale prima dell’inizio di una grande battaglia.
Le leggi feudali che dipingevano l’agire o pensare individualmente come un peccato pericoloso in Giappone sono state abolite a seguito della fine della Seconda Guerra Mondiale, ma il concetto è rimasto così profondamente radicato nella loro cultura e tradizione che continua ancora oggi ad essere la forza prevalente che guida le attitudini e il comportamento dei giapponesi.
A partire dalla metà degli anni 80, è diventato sempre più evidente per i giapponesi che il tradizionale tabù contro l’individualismo era non solo anti-umano, ma rappresentava anche uno dei maggiori handicap sociali ed economici che teneva indietro tutto il Giappone.
Da quel momento in poi infatti il criticismo nei confronti dei vari tabù contro l’individualismo crebbe esponenzialmente con veemenza, così come crebbe anche il numero di compagnie che ora esortano i propri impiegati a pensare e ad agire individualmente.
Nonostante questo però le vecchie abitudini rimangono tuttora così fortemente presenti nella cultura da regolare ancora il comportamento della maggior parte delle compagnie e aziende oggi. Solo le aziende di software di computer o di particolari categorie organizzative sembrano rappresentare un’eccezione.
E nonostante un’intellettuale consapevolezza che l’individualismo è essenziale per la creatività che sta diventando sempre più importante a livello internazionale, coloro che si comportano secondo quella maniera cosiddetta Jikoryu (che significa letteralmente “secondo il proprio modo, il proprio stile”), sul luogo di lavoro specialmente, e se lavorano per grandi ed importanti marchi, sono soggetti ad un severo criticismo ed una facile messa da parte dalla possibilità di promozioni.
Qualsiasi tipo di comportamento che non si conforma a quella di una sezione o dipartimento, come parte di una decisione o azione collettiva, viene considerata come di disturbo o sabotaggio addirittura.
Chiunque provi a promuovere con vigore le proprie idee o il proprio stile inevitabilmente va incontro ad un’opposizione spesso dimostrata apertamente e ancor più frequentemente in modo celato e astutamente.
Questa opposizione ha un impatto diretto sull’efficienza e il comportamento del resto del gruppo che porta, come conseguenza, gli individualisti ad essere continuamente ostacolati al punto tale che poi volontariamente lasciano il gruppo, o vengono ancor prima rimossi e assegnati ad una posizione con compiti per nulla attinenti alle proprie iniziali attività e abilità.
Persone d’affari giapponesi sono affascinati ma allo stesso tempo non approvano il comportamento “Jikoryu” adottato per esempio dagli americani. Da un lato invidiano gli americani per la libertà con cui si esprimono con le parole, con il modo di vestirsi o con quello che mangiano.
D’altro lato sono “spaventati” dalla libertà che gli americani hanno perché in pratica rappresenta l’opposto rispetto a tutto ciò che è giapponese. Il risultato dunque è che i giapponesi spesso finiscono per trovare svantaggi in quel comportamento “Jikoryu” in cui gli stranieri sembrano invece vivere bene.
Gli stranieri che si trovano coinvolti con le compagnie giapponesi devono tenere bene a mente che i manager individuali e i dirigenti con cui loro hanno a che fare non sono davvero individuali come viene inteso in Occidente. Loro non possono agire veramente da soli, su propria iniziativa. Possono tenere pubbliche discussioni e discorsi persuasivi ma generalmente non sono liberi di agire o prendere iniziative proprie al di fuori di quanto concesso nel proprio gruppo.
Generalmente parlando, le compagnie occidentali a volte ricompensano i propri impiegati per le loro iniziative. Nelle compagnie giapponesi invece le “libere iniziative” vengono viste come un demerito, anche se l’azione intrapresa porta benefici all’azienda.
Anche se la gestione di una compagnia ufficialmente supporta lo stile di comportamento “Jikoryu” la maggior parte degli impiegati sono ben lungi dall’adottarlo, mal sopportano chiunque si comporti diversamente dagli altri e solitamente cercano di isolare tutti coloro che tentano di esprimere la loro individualità.
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