Nel 1868, primo anno dell’era Meiji, 148 uomini giapponesi, provenienti la maggior parte dalla zona Kanto, salparono dal porto di Yokohama a bordo della British Scrito, una barca diretta a Honolulu, nel regno delle Hawaii.
Questi uomini credevano di essere diretti verso il Tenjiku (Luogo Celeste), o “Paradiso Hawaii”, o almeno era così che loro avevano chiamato la loro destinazione. Pensavano che avrebbero potuto vivere in un paese delle meraviglie tutto tropicale, senza freddi inverni o estati troppo caldi da sopportare. Credevano inoltre che avrebbero potuto guadagnare tantissimi soldi e che in poco tempo sarebbero potuti tornare alla loro città natale come uomini ricchi.
All’epoca lasciare il Giappone era diventato possibile ed erano anche tra i primi a farlo, dal momento che fino ad allora nessuno aveva potuto mai farlo prima: dal 1603 infatti lo shogunato Tokugawa aveva chiuso l’intero impero al resto del mondo per ben 265 anni. Sarebbero potuti sfuggire alla guerra civile che poi vide lo shogunato cadere e restaurato il pieno potere dell’imperatore.
Naturalmente del viaggio nulla andò come si era immaginato. Lavoravano ogni giorno per sei lunghe ore nei campi di canna da zucchero di Oahu, tagliando piante a mano con il macete e trasportando carichi pesanti e fasci di canna appiccicosa tagliata su carri trainati da muli sotto un tropicale sole cocente. Le loro condizioni di vita erano molto spartane e sorvegliati dai Lunas, sorveglianti quasi sempre di origine europea che sfoggiavano fruste di pelle e trattavano i lavoratori crudelmente.
Altra difficoltà che incontrarono fu sicuramente la lingua: ognuno di loro si ritrovò a non parlare più giapponese ma solo hawaiano e/o inglese. L‘Hawaii Japanese Center Museum situato a Hilo, possiede una copia di un dizionario di Giapponese-Hawaiano-Inglese. Da questo si può dedurre che i nostri uomini fossero alfabetizzati e facenti parte di una sofisticata classe sociale di cittadini in Giappone e che dal racconto si vennero a trovare intrappolati in condizioni di prigionia, lontani da casa, con salari appena sufficienti a vivere e, ancora una volta, senza nessun contatto con il mondo esterno. Ma rimasero facendo del loro meglio e la maggior parte di loro finì anche per sposare donne hawaiane. I loro figli si consideravano più hawaiani che giapponesi finendo dunque per fondersi con la popolazione hawaiana.
Nel 1885, quando l’imperatore Meiji era stato saldamente riposto sul trono e alle Hawaii venne eletto nel 1874 il re Kakakaua, le condizioni per i due paesi cominciarono a cambiare. Sia Giappone che Hawaii, entrambi fino ad allora isolati dal mondo, vennero trascinati e inglobati nell’economia mondiale dalle forze colonizzatrici di Europa e Stati Uniti.
L’imperatore cercò di alleviare la povertà del Giappone occidentale (in parte causato dallo spostamento degli “affari imperiali” dalla zona Kansai alla zona Kanto con cambio di capitale), attraverso l’emigrazione; dall’altro lato il re hawaiano volle diversificare la propria popolazione e rafforzare il proprio “patrimonio genetico” invitando lavoratori da ogni parte del mondo, non solo dal Giappone, ma anche dalla Cina, Portogallo e Filippine. Anche molti uomini portoghesi e filippini finirono dunque per adattarsi e sposarsi con donne hawaiane del posto; i giapponesi invece avevano la tendenza e la preferenza a scegliere come compagna di vita una “sposa immagine”: sceglievano infatti la propria moglie da una foto e segnalandola ad un organizzatore di matrimoni in Giappone facevano si che venisse “importata” alle Hawaii dalla madrepatria.
Questa generazione, si parla di circa 100.000 persone, provenienti per lo più da Yamaguchi e Hiroshima, prefetture del Giappone occidentale, divenne nota come Issei (prima generazione) mentre i figli nati da queste unioni, e prima generazione nata alle Hawaii, venne invece chiamata Nisei, nome ormai noto e radicato nella cultura moderna hawaiana.
L’8 gennaio 1900, 30 giovani uomini provenienti dalla prefettura di Okinawa, prima conosciuta come Regno di Ryukyu e all’epoca di recente acquisizione dell’Impero Giapponese, giunsero a Honolulu da Naha passando da Osaka e Yokohama. Nonostante i tre mesi di duro e difficile lavoro alla Ewa Sugar Plantation a Oahu, i loro contratti di lavoro vengono annullati a causa della recente annessione delle Hawaii agli Stati Uniti. A questo punto i nostri uomini scapparono dalla piantagione ma solo 24 su 26 riuscì a tornare ad Okinawa. I due rimanenti finirono in California, ma solo uno dei due probabilmente riuscì a tornare alla fine a casa.
Nel 1903, con i nuovi contratti e accordi stipulati tra Giappone e Stati Uniti, 40 uomini di Okinawa, vennero ingaggiati per lavorare per sei mesi nelle piantagioni di canna da zucchero e vennero dunque mandati nella piantagione Honokaa. Oggi, le comunità che si sono sviluppati in seguito agli scambi di giapponesi tra Okinawa e Hawaii ha svolto un ruolo importante nella vita e nella società hawaiana. L’Hawaii Japanese Center situato a Hilo, la città più grande dell’isola, con 45.000 abitanti è ormai alle fasi finali nella creazione di un nuovo museo dedicato alla cultura giapponese nelle Hawaii. Pat Okamura, curatrice di questo nuovo museo, dice che la permanente collezione che sarà esposta prevederà un’insieme di foto, registrazioni, manufatti, documenti, pubblicazioni, cimeli e tutto ciò che “documenta lotte e successi degli immigrati giapponesi alle Hawaii”.
Documenti storici proposti dal museo, mostrano come la generazione Issei abbia lottato e di come non abbiano avuto altra scelta se non quella di lavorare e lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero per molti anni. La generazione Nisei, al contrario, è invece riuscita a rompere questa tradizione e a inaugurare nuovi modi di lavorare, nuovi settori e attività, aprendosi anche al campo politico, alludendo ad esempio alla carriera di illustri personaggi come Daniel K. Inouye, Spark Masayuki Matsunaga e il governatore delle Hawaii George Ariyoshi. A questo si devono aggiungere l’enorme catena di negozi e imprese ancora oggi presenti sull’isola hawaiana.
Furono proprio questi personaggi che maggiormente emersero durante il buio della Seconda Guerra Mondiale, che vide le Hawaii attaccata a Pearl Harbor e il successivo insediamento giapponese sulla terraferma, e fu quando giunsero gli interpreti delle due unità militari degli Stati Uniti: Military Intelligence Service e il 442° Reggimento di Fanteria. Uno di questi interpreti era proprio Ariyoshi, mentre Inouye e Matsunaga furono feriti entrambi in azione in Europa come membri del Reggimento di Fanteria. Ferito gravemente Inouye venne anche assegnato al Congressional Medal of Honor, medaglia d’onore, onorificenza militare americana più alta.
C’è un consistente numero di riferimenti giapponesi visibili sparsi per l’isola Hawaii oggi: uno tra questi è l’autostrada Daniel K. Inouye Highway. Ma i viaggiatori possono anche incontrare tra la segnaletica nomi come: il Shige’s Garage, Takata Store, Nakahara Store, Nambu Courtyard e molti altri ancora. […]
Una delle imprese più riuscite giapponesi nelle Hawaii è di sicuro la Suisan Fish Co., fondata da Torazu Hayashi, Hitaro Egawa e Kamezo Matsuno, nella città di Hilo nel 1907. Secondo Kyle Sumner, manager addetto alla vendita del pesce alla Suisan presso il fiume Wailoa, questa compagnia è oggi la più grande delle sette compagnie nel settore ittico dell’isola; afferma infatti di aver iniziato nel 1969 la sua carriera, poi ventennale, nel mondo del commercio ittico, pescando Ahi (un particolare tipo di tonno pinna gialla) su una barca di 18 metri chiamata Alika.
Alika era vista e conosciuta nei porti dell’arcipelago giapponese ed era un tipo di scafo a diesel di dimensioni incrementate abbastanza da poter contenere grandi stive con capienza di addirittura 20 tonnellate di ghiaccio e 40 di pesce. Le barche per questo tipo di pesce (Ahi), pescavano dal lunedì al venerdì e poi ritornavano al porto Suisan per vendere il pesce preso ai ristoranti locali, chef degli hotel e pescivendoli per l’asta settimanale. Equipaggiamenti venivano poi dati al fine settimana per poter ritornare al molo lunedi e ricominciare con un’altra settimana di pesca.
Altre influenze giapponesi che possono essere comunemente viste alle Hawaii sono i Maneki Neko (un ornamento che rappresenta un gatto con la zampa alzata che la tradizione dice porti fortuna) trovabili nei negozi, sia giapponesi che non, poi vi sono anche snack salati con seme di prugna, una reinvenzione tutta hawaiana dell’umeboshi. Altri cibi giapponesi presenti sono poi i mochi e le torte di riso, i tradizionali dolcetti manjuu e saimin, una nippo-hawaiana varietà di raamen o soba di Okinawa. A questo si aggiunge il Liliuokalani Park a Hilo che ora consiste in un grande giardino giapponese in tipico stile Edo, dove è inclusa anche una tradizionale sala da tè.
Sul lato più spirituale invece, le Hawaii ospitano vari templi buddhisti che servono la Jodo Mission. Poi avvengono anche regolari cerimonie volte a sponsorizzare danze durante la stagione degli Obon ad agosto nei vari templi e l’Hongwanji Buddhist Temple a Hilo offre anche vari programmi educativi, culturali e ricreativi per adolescenti e giovani adulti. Quando gli abitanti di Okinawa iniziarono ad arrivare alle Hawaii, diversi anni dopo che i giapponesi erano già giunti all’isola, vennero inizialmente guardati dall’alto in basso dagli Issei giapponesi (prima generazione). Grazie però alla loro diligenza e unità, molti okiwanensi furono anche in grado di sfuggire alla dura vita di piantagione e ad aprire negozi e imprese. Un esempio è quello dell’Arakaki Store nel villaggio di Hala’ula, situato nel Nord Kohala, un distretto delle Isole Hawaii.
Aperto nel 1917, Arakaki è un rinomato negozio per strumenti da campeggio, spiaggia, forniture per pesca, prodotti per la casa, prodotti farmaceutici, giocattoli, utensili e prodotti alimentari: per citare la descrizione di John Steinbeck quando descrive il negozio Heavenly Flower Grocery di Lee Chong nel suo romanzo del 1930 “Canner Row“, definisce tale luogo come un vero e proprio “Miracolo dell’Approvvigionamento”.
Molti Uchinanchu, termine usato dagli immigrati di Okinawa e dai loro discendenti nelle Hawaii per identificare loro stessi come gruppo etnico distinto dai discendenti delle quattro isole principali giapponesi, vivono a Oahu e l’Hawaii Okinawa Center a Waipahu, è il più grande centro organizzativo okiwanense dell’isola. Ad Hilo, sono circa 600 gli Uchinanchu membri dell’Hui Okinawa, gruppo fondato nel 1945 quando sull’isola gli okiwanensi donavano vestiti e cibi in scatola che spedivano alla loro patria devastata dalla guerra. Oggi invece l’Hui Okinawa è meglio conosciuto come organizzatore di Hilo Haari, gare su canoe da pesca che si tengono nel mese di agosto sul fiume Wailoa. La prima gara Haari si tenne nel 1990, insieme alla città gemellata Nago. L’edizione del 2014 sarà il 16 agosto, con 32 squadre partecipanti e i sindaci dell’isola Kumejima e Nago che saranno presenti come ospiti.
Dal 1 al 6 giugno Hui Okinawa sarà sponsor anche dell’evento culturale estivo per bambini a Hilo presso Hongwanji Buddhist Temple. I partecipanti andranno in campeggio e impareranno a suonare il sanshin (uno strumento a corde tipico di Okinawa), il tamburo eisa, un pò di linguaggio Ryukyu, artigianato e cucina tipica di Okinawa. Da ricordare che oltre ad Hilo, Hui Okinawa ha dei club anche a Kona, Honokaa e Kohala. Giugno è poi anche il periodo in cui studenti provenienti da Okinawa partecipano ad un programma di scambio tra studenti dove gli uchinanchu hawaiani passano un mese in una casa famiglia ad Okinawa. L’organizzazione offre inoltre due borse di studio: una ad uno studente che sta per diplomarsi al liceo e una a chi è già all’università.
Altra caratteristica tipicamente okiwanense presente nelle Hawaii sono: il gruppo di percussione Koburo Taiko, la famosa distilleria Awamori dell’Honolulu, le importazioni di birra Orion, bambini che costruiscono al campo estivo kankara (sanshin fatto con lattine) e i popolari ristoranti di Okinawa a Hiko, il Restaurant Kenichi e il Nori’s Saimin & Snacks dove i clienti possono godere della Beni Imo (patata viola dolce), Goya Chanpuruu (un amaro al melone) e dell’Ashi Tebichi (una zuppa di zampe di maiale) insieme ovviamente ad altri piatti, nati come adattamenti hawaiani.
Oggi, le persone di origine giapponese o di Okinawa rappresentano il 17% della popolazione totale hawaiana. Nonostante la politica come quella della U.S. Immigration Act del 1924 che si è conclusa con l’immigrazione dei giapponesi verso le isole e la successiva rilocazione dei giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale, i Nisei (seconda generazione) che ritornavano dai campi di internamento in California o da campi di battaglia europei, erano a sostegno del movimento pro-stato. Così nel 1950 si vide una rinascita di usi e tradizioni giapponesi così anche come la creazione dello stato delle Hawaii nel 1959.
Kay Kukumoto, capo del gruppo di percussionisti Maui Taiko, ritiene che i giapponesi e i discendenti dagli abitanti di Okinawa abbiano giocato un ruolo importante nella creazione dell’ormai misto patrimonio culturale delle Hawaii. Afferma infatti: “Più si impara a conoscere la propria cultura e più si comprende quella degli altri”.
Articolo scritto da Hillet Wright per il Japan Times
Traduzione: Sakura Miko
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