I primi e più importanti documenti scritti riguardanti lo shintou sono costituiti dal Kojiki (Regesto delle Antiche Cose) del 712, e dal Nihongi (Annali del Giappone) o Nihon Shouki (Studio dei documenti sul Giappone) del 720.
Ambedue gli scritti sono stati considerati in passato, e lo sono tuttora per alcuni circoli, dei libri sacri. Si tratta effettivamente di opere lungamente elaborate, che rispecchiano il sapere orale trasmesso nel corso di molte generazioni. Il Kojiki è scritto in parte impiegando gli ideogrammi cinesi per il loro valore fonetico, il Nihongi, più razionalmente, facendo uso del cinese come fosse un latino dell’epoca.
Con l’intensificarsi dei contatti tra continente e arcipelago, i giapponesi avvertirono come sempre più pesante la superiorità dei loro maestri di là dal mare. I cinesi vantavano da oltre un millennio testi divenuti classici in ogni campo (filosofia, storia, poesia, saggi), oltre a biblioteche intere di commentari.
L’arte stessa di scrivere imponeva problemi tecnici difficilissimi, per il semplice fatto che cinese e giapponese son due lingue completamente diverse tra loro; in pratica, dovettero passare circa tre secoli prima che i giapponesi elaborassero un sistema completo e spedito di trascrizione della loro lingua facendo uso dei segni grafici del continente, ed inventando per di più allo scopo due serie di segni fonetici, i sillabari Kana.
I giapponesi cominciarono a pensare a un’opera scritta che raccogliesse i loro tesori spirituali, le loro concezioni cosmogoniche e religiose, i loro miti e la loro storia, fin dagli inizi del VII secolo. Poi, tra un evento e l’altro, trascorse praticamente un secolo prima che il progetto potesse realizzarsi sotto forma di un grandioso impegno nazionale. Ad un dato momento pare che l’opera intera, già bene avviata, andasse perduta in un incendio.
Per fortuna un certo personaggio dal nome Hieda no Are (non è chiaro se fosse uomo o donna), era riuscito ad imparare il contenuto a memoria e finalmente, tra il 711 e il 712, potè dettare il tutto al principe Ou-no-Yasumaru. Nasceva così il Kojiki, opera che parte dalla genesi dell’arcipelago e conduce il lettore al 620.
Quanto al Nihongi, anch’esso in gestazione da lunghissimo tempo, ma assai più piano, più leggibile, e anche più facilmente presentabile agli stranieri, venne scelto come testimonianza del raggiunto rango civile d’un popolo.
Sia il Kojiki sia il Nihongi sono documenti molto importanti per la comprensione dello shintou, vanno letti però con circospezione e attento senso critico. Agli inizi del secolo VIII, infatti, i contatti estesi e approfonditi col continente avevano già una lunga tradizione: i redattori, soprattutto quelli del Kojiki, hanno cercato di presentare il patrimonio spirituale atavico nel modo più genuino, ma questo non ha potuto impedire che vi penetrassero influssi continentali.
Per esempio in ambedue le opere la genesi iniziale del mondo si apre con un certo numero di divinità celesti fondamentalmente (e abbastanza diverse nei due testi: un fatto degno di qualche riflessione), le quali poi praticamente spariscono dalla scena, cedendo il posto a due numi fortemente individuati, corposi, con presenza addirittura sessuale, erotica: Izanagi e Izanami.
Tratto dal libro Storia delle Religioni – Cina- Estremo Oriente
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