I pochissimi monumenti del passato scampati a incendi e distruzioni non sempre hanno avuto la buona sorte di mantenere l’ambiente necessario per essere apprezzati.
Più ancora della nostra, l’architettura estremo-orientale ha bisogno di uno spazio e di verde, per lo stretto rapporto che vi intercorre tra le opere dell’uomo e la natura: le dimensioni dei suoi monumenti richiedono che null’altro li sovrasti se non gli alberi, null’altro li circondi se non prati o basse casette; i colori delle colonne, delle terrazze, dei tetti: rossi, bianchi, gialli, blu, risultano armonici e accettabili solo se appaiono sullo sfondo di verdi quinte arboree o dell’azzurro del cielo.
Edifici, la cui ubicazione e le cui linee sono state concepite tenendo conto del paesaggio, sembrano perder la loro bellezza se questo venga alterato o distrutto. In breve, l’architettura tradizionale estremo-orientale mal sopporta la vicinanza del cemento e a Tokyo di cemento ora ce n’è troppo.
I monumenti giunti fino a noi sono di data relativamente recente, non più vecchi di uno o due secoli: pochi, se si considera la durata dei nostri edifici di pietra; molti se si tiene presente che il materiale da costruzione adoperato era quasi esclusivamente legno. La caducità di esso fa sì che in Giappone manchino ruderi e rovine come esistono da noi: questi “scheletri” architettonici, che possono conservare un’idea della costruzione originaria, se non altro delle sue dimensioni.
Nulla resta invece degli edifici in legno colpiti da un incendio: neppure un muro annerito, neppure le fondamenta. Scompaiono dalla faccia della terra. Ne resta solo l’immagine in qualche stampa, di quelle che illustrano l’aspetto della vecchia Edo: una città ormai lontana da noi, come se fosse esistita in un’epoca remota, mentre si era conservata quasi intatta fino a poco più di cent’anni or sono.
Fonte: Estratto tratto dal libro Qui Tokyo (Grandi città del Mondo) – Touring Club Italiano
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