“Un architetto deve avere perlomeno un’idea sedimentata nella mente. Questa idea può essere in relazione con la razionalità, con il progetto, con fenomeni reali e irreali, ma deve possedere un grado di autonomia rispetto a tutto ciò.
L’esistenza di questa idea, però, è dimostrabile solo se può essere comunicata e si rinsalda e definisce a seconda del mezzo che ne consente la comunicazione. Intendo scoprire il mezzo che mi consentirà di comunicarla nel modo più accurato. Il progetto architettonico è il mio strumento”.
Arata Isozaki è una delle figure più significative dell’architettura internazionale. Giapponese, nasce a Oita, nell’isola di Kyuushuu, il 23 luglio del 1931, primo di quattro figli. Quando decide di intraprendere gli studi universitari conosce poco o nulla del mondo dell’architettura.
Sa con certezza che gli piace dipingere e frequentare persone nel mondo dell’arte, e allo stesso tempo coltiva l’idea di fare qualcosa che abbia attinenza con l’ingegneria. Un amico gli parla della facoltà di Architettura come quella più adatta a soddisfare i suoi desideri e così si iscrive all’Università di Tokyo.
Dopo aver letto alcuni libri di arte, gli capita tra le mani un catalogo di una mostra di Le Corbusier che contiene la frase che segna la svolta: “L’Acropoli mi ha fatto diventare un ribelle”. E’ così che presto il nome di Le Corbusier diventa per Isozaki sinonimo di architettura.
Poco tempo dopo la laurea, conseguita nel 1954, diventa stretto collaboratore di uno dei suoi docenti, l’architetto e urbanista Kenzo Tange, e lavora per quasi un decennio per il suo studio e per il gruppo Urtec.
Tange è allora assistente di Urbanistica presso l’Università statale di Tokyo, ma è già conosciuto come uno dei migliori architetti giapponesi, alla ricerca di un metodo che sintetizzi le novità dell’architettura moderna e la grande tradizione giapponese.
In un ambiente così stimolante avviene la maturazione intellettuale di Isozaki, che consegue il master e il dottorato in Architettura e partecipa attivamente all’elaborazione di un’avveniristica espansione della città, denominata “Tokyo 1960” (che prevede la futura estensione della città sulle acque della baia di Boso).
Questo piano urbanistico richiama l’attenzione della cultura internazionale, diventando una specie di manifesti della nuova architettura giapponese, proprio in un momento di eccezionale prosperità per il Paese del Sol Levante […].
“Quando progetto, non seguo la storia che ho studiato, anzi, realizzo i lavori valutando la distanza tra i miei progetti e la storia. Non copio le passate tradizioni architettoniche, ma cerco di trovare qualcosa di nascosto e cerco di interpretarlo e realizzarlo in modo nuovo.”
Isozaki ha firmato progetti un pò ovunque: dal Museo di Arte Contemporanea di Los Angeles, del 1986, alla casa dell’Hombre di La Coruña, ultimata nel 1995; dalla sede degli uffici Disney in Florida, pronti nel 1990, al Centro della scienza e dell’industria (COSI) in Ohio, aperto al pubblico nel 1990, passando attraverso i musei sorti a Nizza e a Il Cairo.
La sua attività si concentra così sulla progettazione di edifici caratterizzati dal ricorso all’unità cubica, insieme con la presenza di molte colonne, e alla superficie a conchiglia con una curva a raggio variabile.
Dal Duemila al futuro
Anche negli anni Duemila Isozaki consegna alla storia numerosi interessanti lavori. Dalla Spagna alla Cina, dalla Grecia all’Ucraina, dalla Germania al Kazakistan. Molti, alcuni ancora in corso di realizzazione, sono i progetti che firma in Italia. Il Palasport Olimpico, realizzato a Torino per le Olimpiadi invernali del 2006, o la Nuova Stazione di Bologna, come l‘Uscita dagli Uffizi, in piazza Castellani a Firenze.
Nell’attesa di vedere svettare la sua torre tra i grattacieli del quartiere Fiera di Milano, firmati anche da Zaha Hadid, Daniel Libeskind e Pier Paolo Maggiora. Sarà alta 220 metri – la più alta delle tre torri, ma anche la più semplice – e si chiamerà “il dritto”, perchè sarà un parallelepipedo perfetto, a differenza di quello di Libeskind (“il curvo” perchè a forma di vela) e della Hadid (“lo storto” perchè ritorto su se stesso).
Non solo architettura
Un altro aspetto degno di nota di questo artista giapponese è il suo lavoro intellettuale e saggista. Il suo apporto in questo campo è davvero notevole, anche se forse non altrettanto conosciuto come le sue opere. Isozaki, infatti risulta essere molto incisivo sia come scrittore sia come teorico dell’architettura e con le sue realizzazioni si fa interprete principale dei diversi movimenti giapponesi.
Ha frequentato molte delle università di tutto il mondo in qualità di Visiting Critic e Lecturer: dalla Columbia University di New York alla Harvard University, dalla Rhode Island School of Design a Providence alla University of California, a Los Angeles.
Ha ricevuto anche numerosi premi per le sue opere: quelli annuali per la realizzazione della Biblioteca della Prefettura di Oita, per il Gunma Prefectural Museum of Fine Arts e per la Kitakyuushuu Central Library, o il premio speciale per l’Expo 1970.
ll Ministero della Cultura del Giappone gli ha inoltre assegnato il premio Artist’s Newcomer. Oltre ad altri illustri riconoscimenti ottenuti in Giappone, Isozaki è stato insignito anche di titoli altrettanto importanti in altri Paesi del mondo: è, ad esempio, membro onorario dell’Accademia Tiberina a Roma (1978), dell’Istituto Americano degli Architetti e del Bund Deutscher Architekten (1983), oltre ad essere stato nominato Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere dal Ministero francese della Cultura (1984).
Il RIBA, l’Istituto Reale degli Architetti Inglesi, gli ha conferito la medaglia d’oro nel 1986. E’ stato inoltre scelto come membro di molte giurie e commissioni per premi internazionali e concorsi, in nome della sua esperienza e importanza sulla scena mondiale in campo architettonico.
Tratto dal libro I Maestri dell’Architettura – Arata Isozaki, collezione Hachette
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