La drammatica giapponese ha, specialmente a Tokyo, una grande importanza per lo studio di costumi che finirono completamente; perché, se il teatro fu ed è dappertutto il riflesso più sincero dei sentimenti di ogni epoca e di ogni nazione, qui, fra tanta smania di progresso, è l’unico campo in cui riviva, splendidamente, il passato con le sue pompe spettacolose.
Prima della drammatica propriamente detta, il Nou è quello che s’impone, come genere antico e aristocratico che ebbe carattere di danza, prima che il vero dramma venisse poi man mano a svolgersi.
I Nou dunque, sono come il primo vagito di quella drammatica giapponese che rimonta alla più remota antichità, quando cioè le danze sacre erano accompagnate sempre da un coro primitivo. E l’origine sacra di queste danze è appunto nelle leggende varie, specie in quella, diffusa dovunque, che prese forma dalla religione shintoista.
Narra la leggenda che la dea Amaterasu, spaventata dalla furia di suo fratello, il Dio dei venti, si ritirò in una grotta appartata e il mondo cadde nell’oscurità più completa per più di otto giorni, durante i quali la dea sempre rifiutò di uscire dal suo ricovero. Allora gli altri Dei pensarono di far eseguire sacre pantomime all’entrata della grotta e la Dea placata acconsentì a illuminare nuovamente il sacro Giappone.
In questa leggenda si trova completamente l’origine del Nou e vi si vede pure l’influenza della musica sulle prime popolazioni; il mito, che rammenta quello greco di Orfeo e delle divinità infernali placate dal suono della sua lira, mostra idee collegantesi fra loro nelle varie civiltà e nelle varie religioni, che accennano a un istinto naturale presso tutti i popoli.
Dopo queste prime origini leggendarie, le prime nozioni del teatro non rimontano che allo Shogun Yoshimasa, il quale cominciò con il far costruire un baraccone informe, per metà casa e per metà teatro, dove, sopra un palcoscenico adatto, si eseguivano danze in costumi ricchissimi. Ben presto, per aumentarne forse l’interesse e per lo sviluppo stesso che l’idea andava prendendo presso ogni giapponese delle classi alte, fu aggiunta una molto tenue tela di dramma; due persone per lo più che univano la narrazione delle loro semplici avventure alle danze eterne e alle cerimonie del coro.
Ma rimaneva come una allegoria nascosta, come qualcosa di sacro e d’indecifrabile: ciò che, naturalmente, non valse a rendere il Nou popolare, anzi contribuì a farne uno spettacolo aristocratico, a beneficio dei pochi che potevano pagare il lusso della messa in scena. Così negli antichi tempi feudali era un obbligo per ogni nobile il poter far rappresentare quei Nou magnifici, nei quali rivaleggiavano i vari principi dei diversi clan che venivano a far l’annuale omaggio allo Shogun: perciò negli yashiki dell’antico Yedo simili spettacoli erano frequenti e convenivano ad ammirarli tutti i familiari della casa feudale e davano spesso occasione a risse sanguinose fra i seguaci battaglieri dei differenti signori.
I progressi sempre più popolar del vero teatro giapponese finirono per detronizzare quegli spettacoli che rimanevano solitari e aristocratici, infeudati com’erano a una casta speciale. Oggi questi Nou sono andati in disuso, anche per la ragione che alla mancanza di fede nell’antico si unisce la mancanza di denaro. Pochi se ne permettono ancora il lusso; il Mikado fra questi, e in via d’eccezione per lo più, quando per un ospite illustre prepara uno di quegli antichi spettacoli con uno sfarzo inaudito di stoffe e di armi.
Uno di questi era stato allestito con pompa straordinaria per lo zar Nicola, all’epoca del suo viaggio; ma l’attentato di Otsu pose fine al Nou e agli altri spettacoli straordinari che per lui erano stati preparati nella capitale dell’Impero.
Fonte: Estratto tratto dal libro Arte, Teatro e Religione nell’Antico Giappone scritto da Giovanni De Riseis ed edito da Luni Editrice.
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