Col termine Mikado in Giappone si indicava anticamente la porta del palazzo imperiale; successivamente questo vocabolo è passato a designare la persona dell’imperatore, custode della “Porta Augusta”, l’alta porta del paradiso in terra.
Nell’insegnamento ufficiale dello shintou è sempre rientrata l’affermazione che l’imperatore discendesse dalla dea Amaterasu: da qui il titolo divino di Mikado. La leggenda vuole che Amaterasu, la dea Sole e regina incontrastata del regno degli dei, con l’aiuto del dio tuono, avesse conquistato il regno terrestre, il cui governo aveva affidato al nipote Ninigi, antenato degli imperatori del Giappone disceso poi sulla terra con cinque capi, gli antenati delle famiglie sacerdotali.
Insieme a Ninigi scesero dal cielo i tre shintai, i tesori donatigli dalla dea: lo specchio, la spada e il gioiello, che rappresentano il potere dell’imperatore, tuttora simbolo dell’investitura divina del legittimo Mikado; l‘investitura del nuovo imperatore del Giappone avviene, infatti, con la presa di possesso di questi tre tesori, che simboleggiano rispettivamente le virtù della saggezza, del coraggio e della benevolenza; in particolare lo specchio è considerato manifestazione della dea Sole, e quindi fondamento del dogma di stato della divinità del sovrano.
Storicamente, nella lunga era feudale che va dal 1192 al 1868, in Giappone vi sono state due autorità supreme: il Mikado, residente con la sua corte a Kyoto, e lo Shougun, capitano della Corona. Nei secoli XVII e XVIII il movimento gakusha, “sapienti nazionali“, propugnò la restaurazione del culto primitivo, e in particolare insistette sull’investitura divina del Mikado, diretto discendente dei kami, creatori e protettori del Giappone. Nel 1868, salì al trono l’imperatore Mutsuhito, il quale pose fine al dualismo riuscendo ad esautorare del tutto lo shougun.
Il comportamento dei soldati giapponesi nelle varie guerre del secolo XX dimostra quanto seguito abbia ottenuto il mikadoismo, per il quale il sovrano era considerato una divinità. Quando, alla fine della guerra nel Pacifico, il 15 agosto del 1945, il Giappone accettò la resa incondizionata, gli americani pretesero che l’imperatore Hirohito dichiarasse pubblicamente di non essere un dio; il 1° gennaio del ’46, quindi, l’imperatore fu costretto a negare la propria divinità.
Affermare che l’imperatore fosse un uomo qualunque era una cosa intollerabile per la maggior parte dei giapponesi; per questo, quando ascoltarono alla radio lo storico comunicato, conclusero che Hirohito doveva essere davvero un dio, poiché solo una divinità avrebbe avuto l’autorità di fare una simile dichiarazione.
I giapponesi non hanno mai veramente rinunciato alla loro mitologia; fedeli alla leggenda che vuole la famiglia imperiale discendere dai kami, ancora oggi indicano l’imperatore con i termini di Tennou (Re del Cielo) e di Tenshi (Principe del Cielo), oltre che con il titolo divino di Mikado, usato per lo più nel linguaggio solenne e in quello poetico.
Tratto dal libro Storia delle Religioni – Cina- Estremo Oriente
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