Chiunque abbia conosciuto il Giappone e sia rimasto colpito dai suoi bellissimi paesaggi, dai profumi, dai sapori e dai mille colori, non può non essere stato affascinato anche dalle sue parole e dalla sua lingua, antica e complessa. Voler apprendere la lingua giapponese significa anche essere consapevoli della ricchezza culturale e storica che si cela dietro un idioma nel quale convivono ben tre sistemi di scrittura: Hiragana, Katakana e i Kanji. L’enorme quantità di “simboli” e caratteri presenti in tale lingua è davvero impressionante e può rappresentare una difficoltà per chiunque sia abituato a far uso solamente di un alfabeto che conta al massimo ventisei lettere.
Inoltre, contrariamente all’italiano e alle numerose altre lingue che si avvalgono dell’alfabeto latino, dove ogni lettera (“a”, “b”, “c”…) rappresenta un suono, combinato poi con altri per formare sillabe e parole, il giapponese usa principalmente due sillabari (hiragana e katakana), dove ogni carattere rappresenta, non una lettera, ma un’intera sillaba (“ka”, “ki”, “ku”…). Le combinazioni possibili per le varie sillabe sono numerose; perciò si può già immaginare lo sforzo di memoria richiesto nel dover imparare due sillabari che contengono molto più di ventisei lettere semplici.
Non vanno poi dimenticati i kanji che, data la grande quantità e complessità, rappresentano una vera e propria sfida, anche per gli stessi studenti giapponesi. Diversamente dai due sillabari, che rappresentano solamente dei suoni, i kanji rappresentano invece idee o interi concetti: ogni kanji ha la sua storia, e anche le sue letture, diverse a seconda della parola in cui ciascun ideogramma viene utilizzato. Il loro uso, ereditato dalla Cina, ha arricchito la lingua giapponese e il suo apprendimento esige uno sforzo di memorizzazione e di comprensione notevole.
Le tre vie della scrittura giapponese: un trio inseparabile
Per capire come funziona questo sistema di scrittura tripartito, proviamo a dare uno sguardo più ravvicinato per cercare di capire a cosa servono Hiragana, Katakana e Kanji e perché il giapponese fa uso di tutti e tre.
- Hiragana: il cuore del Giappone
Con i suoi caratteri morbidi e curvi, l’hiragana è la base di tutta la lingua. È un sillabario completo, che contiene tutti i suoni della lingua giapponese; si usa principalmente per:
- Le parole di origine giapponese: la maggior parte dei termini comuni, come さかな (sakana, pesce), o えいが (eiga, film). È il primo sistema di scrittura che si studia e si impara sin da piccoli: ai primi anni di scuola i bambini, che ancora non conoscono i kanji, imparano a riportare i suoni delle parole che conoscono utilizzando proprio l’hiragana.
- Le particelle grammaticali: si tratta di quei piccoli, ma essenziali, “segnalatori” che indicano i ruoli delle parole all’interno di una frase, determinando valori e complementi: ad esempio, la particella は (wa) indica il tema della frase oppure を ((w)o) indica il complemento oggetto. Tali particelle accompagnano una parola indicando il suo ruolo all’interno della frase, fungendo anche da “distanziatori” tra un termine e l’altro, dal momento che, nella scrittura giapponese, non sono previsti spazi tra le parole.
- I suffissi e le desinenze: l’hiragana è il “motore” che fa funzionare anche i verbi e gli aggettivi: di entrambi, infatti, la radice viene sempre indicata dal kanji, che porta in dote anche il lato semantico del verbo o dell’aggettivo, ma è l’hiragana che si occupa di chiarire, nella parte finale e variabile della parola di quale tempo si tratti o se posto in forma piana o in forma cortese. Ad esempio, la radice del verbo “mangiare” è il kanji 食 (ta-), ma il resto della parola, come べます (bemasu) o べた (beta), si scrive in hiragana.
- Katakana: la voce del mondo
Se l’hiragana guarda ai propri suoni, quelli nativi, il katakana guarda invece ai suoni provenienti da altre lingue. Contrariamente all’hiragana, i caratteri del katakana sono più dritti e spigolosi e vengono usati principalmente per:
- Le parole straniere (gairaigo): una parola di origine straniera, come ad esempio “computer”, sarebbe difficile da scrivere in giapponese dal momento che non ha un kanji; pertanto per trascrivere questa parola si utilizzerà il katakana: コンピュータ (konpyūta). Volendo aggiungere ancora qualche esempio, potremmo citare “Pizza” ピザ (piza) oppure “chocolate” チョコレート (chokorēto). Bisogna ricordare che con il katakana il giapponese riporta una parola non come questa viene scritta nella lingua d’origine, bensì come questa, nella sua lingua, viene pronunciata.
- I nomi propri stranieri: neppure i nomi stranieri, non giapponesi, hanno un kanji, per cui anch’essi vengono traslitterati in giapponese tramite il katakana. Ad esempio, “Mario” diventa マリオ (Mario).
- Enfasi e onomatopee: il katakana viene usato anche per dare enfasi, quasi come il nostro uso del corsivo o dello stampatello, o anche per trascrivere i rumori e i suoni indicati dalle onomatopee. Il “toc toc” alla porta, per esempio, si scriverà トントン (tonton).
- Kanji: La profondità di un’idea
I Kanji sono il vero tocco di magia di tutta la lingua giapponese. Sono ideogrammi, cioè dei simboli che rappresentano un’intera idea o un concetto. Un singolo kanji come 日 può significare “sole” o “giorno”: tuttavia, la cosa forse più affascinante è che l’ideogramma non ha una lettura univoca ma, spesso, più di una. Un kanji ha infatti:
- la lettura ON (o “lettura cinese”): è la lettura che ricorda il suono cinese che il kanji aveva quando venne importato dalla Cina. Ad esempio, 日 in 日本 (Nihon, Giappone) si legge に (ni), secondo lettura On (o in alcuni casi anche ニチ Nichi).
- la lettura KUN (o “lettura giapponese”): è il suono indigeno giapponese che esisteva prima che venisse importato il kanji cinese a cui in seguito venne associato tale suono. Ad esempio, lo stesso kanji 日 usato per indicare “giorno” o “sole” si pronuncia ひ o び (hi o bi), secondo lettura Kun.
Dunque, alla difficoltà di dover memorizzare i tratti dei due sillabari e i numerosissimi kanji si aggiunge anche la necessità di conoscere tutte le letture associate ai kanji che sono ancor più numerose degli stessi ideogrammi. Inoltre, non è sempre facile comprendere quando vada usata la lettura On e quando quella Kun: si può dire, in linea generale, che la lettura On è quella usata quando il kanji si accompagna, all’interno di una parola, ad altri kanji. Se invece il kanji è da solo o seguito dai kana (caratteri tratti dall’hiragana) allora viene utilizzata la lettura Kun. Non va dimenticato che le eccezioni sono sempre dietro l’angolo e solo esperienza e uno studio assiduo possono aiutare ad avere maggiore familiarità con le letture.
Ad ogni modo, il sistema misto di due sillabari e gli ideogrammi, utilizzati contemporaneamente, sono la vera essenza della scrittura giapponese: i Kanji danno l’idea e il valore semantico mentre l’Hiragana i suoni e i dettagli grammaticali; il Katakana rimane invece una finestra aperta al mondo esterno.
In sintesi:
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