
Una particolarità dell’Oriente, specie in Cina e in Giappone, come sappiamo tutti, è la dedizione: come per le piante, per i fiori, per la natura, per le composizioni e per le costruzioni, così anche per le pietre si manifesta una particolare dedizione. Si dà grande valore alla pietra: non si tratta di un semplice sasso fine a sé stesso, ma di una parte indispensabile di un tutto ancora più grande da cui il sasso proviene; la piccola roccia non è intesa, dunque, come piccola e insignificante, ma come parte di un insieme integro e completo ancora più grande. Si tratta, infatti, di un frammento di montagna, a sua volta frammento di una catena montuosa, parte a sua volta di un’area geografica ancora più grande. Così è come il suiseki ci invita a guardarci: come piccoli frammenti di un mondo più grande, di cui facciamo parte, e che a sua volta è parte di un universo infinito.
Il suiseki è un modo per comprendere quanto sia importante avere cura delle piccole cose, in quanto parte di un qualcosa di ancora più grande e significativo, e che tutte le cose e gli esseri sono connessi tra loro. Raccogliere e custodire un singolo elemento significa, in verità, prendere in considerazione, anche se in piccolo, l’intero universo.
Spesso si pensa che la pietra sia una cosa inanimata e che non abbia vita alcuna: nulla di più sbagliato. Nonostante le apparenze la roccia ha una sua vita, e anche complessa. Al suo interno conserva i mutamenti, i cambiamenti e le condizioni di ciò che la circonda all’esterno; la sua vita sarà forse più duratura di quella di un qualunque essere animato, ma è anche rappresentazione della vita che fluisce e muta in tempi lunghi, e soprattutto lenti. In quei tempi lunghi, quasi infiniti, la pietra, attraverso il suo proprio ki assorbe tutte le energie e le manifestazioni della natura e le mostra poi attraverso la sua consistenza, la sua forma, il suo colore sempre diverso a seconda delle circostanze in cui viene a trovarsi. Per questo si dice: “di per sé la pietra non è niente, ma esiste e vive come ogni altra realtà come risultato di continue trasformazioni”. Per questo motivo il Suiseki, ammette nelle sue composizioni solo pietre trovate per caso in natura, lavorate e levigate dalla sola natura e dal tempo, e non dall’uomo.
La scelta della pietra è dunque di primaria importanza. Si possono, infatti, distinguere tre generi:
- Tennen Kiseki: pietre naturali simili a delle montagne, delle valli o che ricordano animali.
- Tenseki: pietre adatte ai bonsai che cambiano a seconda della stagione.
- Kaseki: pietre “decorate” con fossili.
Bisogna inoltre osservare delle qualità ben precise prima di raccoglierla:
- Consistenza: non deve essere né troppo dura né troppo friabile.
- Forma: deve avere una forma particolare che dia il senso di energia vitale che fluisce; deve saper mostrare i segni che il tempo e fenomeni naturali hanno lasciato su di essa.
- Colore: deve essere preferibilmente scuro, se non nero, affinché metaforicamente ricordi il nulla e il vuoto.
- Superficie: non deve essere troppo ruvida ma deve permettere alle mani di poterla toccare e strofinare senza problemi. Non deve essere troppo levigata né deve essere lavorata o modificata da prodotti e “metodi umani”.
- Dimensioni: devono essere ridotte in modo tale che possa stare tra le mani, che possa essere maneggiata e trasportata facilmente.
Come creare una composizione Suiseki
Per creare un suiseki è necessario procurarsi una base dove collocare la pietra scelta: deve essere solida e stabile, così da consentire l’accurata osservazione della stessa da tutti e da ogni angolatura. Il tipo di base adatto è il suiban, un vassoio basso, ovale, riempito di sabbia e ghiaia, ma è possibile usare anche il daiza, una base in legno di ciliegio. Il valore simbolico è lo stesso di quello delle rocce del tipico giardino zen: la pietra funge da montagna mentre la ghiaia o la sabbia da lago, oceano o comunque acqua.
Le più importanti collezioni suiseki oggi si possono trovare in Giappone, Cina, Corea, Stati Uniti, Inghilterra, Germania e anche Italia.
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