L’arte giapponese, fin dal momento in cui venne man mano a essere conosciuta dall’Europa intera, si rese celebre come la manifestazione più pura delle terre classiche dell’Asia.
L’arte e la donna, di fatto, furono i due elementi della vita insulare che maggiormente interessarono gli spiriti europei; non l’arte antica sconosciuta ai più, ma quei soli vestigi di essa che giunsero nel continente sotto forma di oggetti moderni fatti a nostro unico beneficio; sì come, d’altro canto, il concetto della donna giapponese ci giunse falsato da quelle prime narrazioni fantastiche sulla vita libera e licenziosa dei giapponesi.
Particolare curioso, notato dal Chamberlain: la lingua giapponese non possiede vocabolo corrispondente all’idea che informa la nostra Arte. Per avvicinarvisi crearono bi-jutsu, unione di due vocaboli cinesi, bi (bello) e jutsu (mostra); vi sono pure due o tre altri nomi composti allo stesso modo, ma è inutile riferirli, visto che l’idea fondamentale non corrisponde a quella che noi abbiamo dell’arte, cioè di tutte le manifestazioni varie dell’attività umana, che sono l’architettura, la scultura e la pittura.
Arte è voce senza significato fra i giapponesi. Ed è strano che quel popolo, presso il quale fu sempre così ampiamente sviluppato il senso estetico, non abbia avuto fin dai primi tempi la viva espressione di un concetto che era invece così chiaro nelle loro menti. Potremmo forse attribuirlo all’importanza stessa del senso artistico; perché, così come la religione e i costumi, così anche l’arte entrò in questo paese dalla Cina, per mezzo della Corea, mediante pure i soliti apostoli del buddhismo che ogni cosa importarono in Giappone; sicché in qualunque parte della vita anche moderna noi guardiamo, bisogna sempre ricorrere, per comprendere l’origine di essa, all’avvento dei nuovi apostoli, che giunsero dalle inospitali pianure del gran continente asiatico.
Avvenne cioè come un’infiltrazione lenta di quelle idee e di quei modelli, che dovevano poi prendere nuove forme presso un popolo così ardente di fantasia e incline all’industria artistica; perché se, come vedemmo, certa ne fu l’importazione della Cina, essa fu poi modificata profondamente in seguito e adattata meglio al temperamento del popolo presso il quale giunse ad infiltrarsi.
Fonte: Estratto tratto dal libro Arte, Teatro e Religione nell’Antico Giappone scritto da Giovanni De Riseis ed edito da Luni Editrice.
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