
Nel vocabolario giapponese esistono termini che non descrivono semplici oggetti, ma parlano di interi stati d’animo. Esistono momenti in cui la natura smette di essere uno sfondo e diventa una rivelazione: camminando in un bosco o rimanendo immersi nella vegetazione può capitare di essere “bagnati” da una pioggia di luce frammentata che danza tra le foglie e raggiunge il suolo creando uno scenario spettacolare.
Per la spiritualità shintoista, il divino non risiede in un altrove lontano, ma pulsa in ogni elemento naturale, manifestandosi vicino a noi. E quando siamo vicini a una folta vegetazione e veniamo colpiti da questi raggi frammentati, non stiamo solo attraversando un luogo fisico, ma stiamo entrando in un tempio senza pareti: la luce che filtra non è accecante o aggressiva, ma una carezza gentile che invita al silenzio, per ritrovare la nostra connessione con il tutto.
In giapponese, tutto questo non è descritto con una frase, ma con un’unica, poetica parola: Komorebi (木漏れ日). Non si può tradurre con un unico vocabolo in italiano, perché non indica solamente un fenomeno fisico, ma tutta l’esperienza emotiva e sensoriale che questa magica visione comporta.
Il senso del Komorebi
Per comprendere il Komorebi, bisogna osservare l’etimologia della parola e i kanji di cui è composta. Il termine conta, infatti, tre caratteri distinti:
- 木 (Ko): “Albero”
- 漏れ (More): dal verbo moreru, che significa “filtrare”, “scappare” o “sfuggire”
- 日 (Bi): “Sole” o “luce”
Letteralmente è la “luce che filtra tra gli alberi”, ma il termine moreru suggerisce anche qualcosa di più profondo, qualcosa di sfuggevole ed effimero. La luce non è intrappolata, ma riesce a trovare un varco, a scivolare tra gli ostacoli per poter raggiungere la terra. Komorebi è intrinsecamente legato alla sensibilità giapponese verso la natura, dominata da due pilastri filosofici: il Wabi-sabi e il Mono no aware.

Il Wabi-sabi è l’apprezzamento dell’imperfezione e della bellezza transitoria. Spesso siamo abituati a cercare la luce assoluta, la perfezione senza macchia. La filosofia del Wabi-Sabi ci suggerisce l’esatto opposto: la bellezza risiede nell’imperfetto e nell’incompiuto. Il Komorebi non esisterebbe senza l’ostacolo delle foglie, senza l’oscurità dei rami: è l’ombra che dà forma alla luce, che la rende visibile e poetica. Pertanto il Komorebi ci invita a guardare alle nostre “ombre” — le nostre ferite, le difficoltà e i limiti — non come a ostacoli, ma come a filtri necessari che rendono la nostra luce interiore unica e vibrante.
Il termine Mono no aware viene spesso tradotto come “la sensibilità verso le cose” o, più poeticamente, “il pathos delle cose”. È quel sospiro interiore che esaliamo davanti a un tramonto o alla caduta di un petalo, quella malinconia dolce che non nasce da una perdita, ma dalla consapevolezza che le cose sono destinate a cambiare, e che hanno una fine.
Il Komorebi è il palcoscenico perfetto per queste due filosofie perché è un momento che contiene l’irripetibilità di un istante, che ci appare come un miracolo, e la malinconica consapevolezza che quel disegno di luce non può essere trattenuto per sempre, ma esiste solo per pochi istanti. Il Komorebi ci ricorda, allora, l’importanza di essere presenti; ci insegna che la bellezza non risiede solo nel “pieno” (la luce), ma anche nel “vuoto” (l’ombra), ma soprattutto nell’interazione tra i due. È una bellezza che non chiede nulla se non di essere notata e vissuta pienamente, anche se per poco tempo.

Lasciare andare, lasciare che ogni cosa sia
Spesso trascorriamo i nostri giorni cercando di trattenere ciò che amiamo, di rendere eterno ogni istante di gioia e di evitare ogni zona d’ombra. Ma il Komorebi ci ricorda che la bellezza non risiede nel possesso, ma nel transito: la luce frammentata che attraversa le fronde ci insegna che non dobbiamo aver paura del cambiamento, ma avere il coraggio di “scivolare tra i rami” e lasciar vibrare tra le ombre la nostra luce.
Portare il Komorebi dentro di sé significa imparare a camminare nel mondo con una nuova leggerezza; significa smettere di lottare contro la natura mutevole della vita e iniziare a onorare ogni istante per quello che è: un dono irripetibile che non tornerà mai più, ma che al suo passaggio ha illuminato il nostro cammino.
Komorebi è un invito a essere pronti a meravigliarsi sempre e a saper lasciare andare, consapevoli che la luce, anche quando svanisce, non scompare mai del tutto: si prepara solo a disegnare, altrove, un nuovo, unico e irripetibile istante di bellezza.
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