“Qui ci sono terremoti a colazione, a pranzo e a cena. E pure per la notte.”
Parola di John Milne, ingegnere minerario inglese inviato come docente all’università di Tokyo nel 1876. E come dargli torto? Stiamo parlando di uno dei Paesi a più elevato rischio sismico al mondo. Basta un dato: il Giappone costituisce lo 0.25 per cento delle terre emerse del pianeta, ma ha subito finora ben il 20 per cento dei terremoti più intensi.
“Tutte le grandi città giapponesi (Tokyo, Yokohama, Osaka, Nagoya, solo per citare le prime quattro) sono a rischio. Di più: in pratica lo è tutto il Paese, a eccezione di una piccola zona rurale nella costa settentrionale nell’isola di Hokkaido”, conferma Robert Reitherman, direttore del Consorzio universitario internazionale per la ricerca in ingegneria antisismica (Curee), con sede a San Francisco.
Il primato non è difficile da spiegare, visto che il Giappone è “seduto” su una regione geologica particolarmente inquieta, al confine tra quattro placche tettoniche, cioè zolle di crosta terrestre appoggiate su materiale parzialmente fuso e in movimento l’uno rispetto all’altra, come zattere sul mare.
“Le placche sono quelle delle Filippine e del Pacifico, di natura oceanica, e quelle euroasiatica e nordamericana, di natura continentale”, spiega il geologo Kenji Satake, del National Institute of Advanced Industial Science and Technology giapponese. I problemi nascono perché la placca delle Filippine si sta scontrando con quella del Pacifico, inabissandosi al di sotto di essa, mentre a sua volta la placca del Pacifico si inabissa sotto quella nordamericana”. I punti di contatto sono sottoposti a forza intensissime che, al minimo movimento si sprigionano sotto forma di terremoti.
Con una natura del genere, non sorprende che i giapponesi si siano ben presto rimboccati le maniche sia per conoscerne a fondo i meccanismi, sia per trovare strategie di convivenza efficaci. “E’ proprio in Giappone – oltre che in Italia – che, nella seconda metà dell’Ottocento, sono state gettate le basi dell’ingegneria antisismica”, spiega Reitherman.
Nel pieno della cosiddetta Restaurazione Meiji, il Paese viveva un periodo di vivace fermento culturale, con la nascita di nuove università in cui venivano chiamati ad insegnare scienziati, tecnici e ingegneri occidentali, come John Milne, da cui assimilare i più recenti avanzamenti tecnologici. Nel 1886, l’università di Tokyo sarà la prima al mondo a istituire una cattedra di sismologia.
E sempre negli stessi anni nacquero le cinque grandi firme di architettura che ancora oggi costituiscono il riferimento fondamentale in Giappone per quanto riguarda ingegneria e design antisismici: Kajima, Obayashi, Shimizu, Taisei e Takenaka.
A Kaji, per esempio, si deve per esempio il primo grattacielo giapponese, realizzato nel 1968 dopo l’annullamento di una legge sulle costruzioni che vietava edifici più alti di 35 metri di altezza, il Kasumigaseki Building di Tokyo si è visto soffiare il primato di più alto edificio del Giappone solo nel 1998, dalla Landmark Tower di Yokohama, che svetta per 70 piani e 296 metri.
Fondamenta rinforzate, un cemento armato particolare e una struttura tubulare flessibile sono i suoi espedienti antisismici, mentre un enorme peso, collegato a una sorta di pendolo, contrasta i forti venti che soffiano spesso sulla città, riducendo del 40 per cento l’oscillazione della torre.
E’ di Obayashi, invece il Seikan Tunnel, l’imponente galleria ferroviaria sottomarina che collega l’isola di Honshu a quella di Hokkaido: scavato 140 metri sotto il fondo oceanico, è il tunnel più profondo al mondo, e rappresenta anche lo standard di riferimento per la costruzione di tunnel in aree sismiche.
La tradizione antisismica giapponese, ha dunque radici antiche, ma ha anche saputo rinnovarsi nel tempo, al punto che oggi il Paese è preso come pietra di paragone in qualunque discussione sull’efficienza antisismica. Certo, non tutto funziona sempre a meraviglia, come ha dimostrato il caso del terremoto che il 17 gennaio 1995 ha colpito in particolare la città di Kobe, provocando oltre seimila vittime: su giornali e tivù di tutto il mondo sono rimbalzate le immagini del crollo di intere campate del viadotto su cui viaggiava la Hanshin Expressway, una delle autostrade più trafficate del Paese.
“D’altra parte anche da noi si registrano casi di costruzioni irregolari: pochi anni fa, un architetto è stato arrestato per aver firmato progetti illegali dal punto di vista delle richieste antisismiche”, afferma Kenji Satake. Ma si tratta di eccezioni e la controprova viene dallo stesso “caso Kobe”: allora, infatti la maggior parte dei decessi fu causata dal collasso di vecchi edifici, mentre quelli nuovi, realizzati secondo le indicazioni previste dagli aggiornamenti del 1981 del Codice nazionale per le costruzioni, tennero.
Che cos’hanno dunque di speciale le strutture post 1981? Gli ingredienti principali per la loro sicurezza sono tre: i materiali da costruzione, l’isolamento sismico e le strategie di controllo attivo degli edifici.
Tratto dalla rivista Meridiani – Giappone (Anno XXIV – N.195)
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