
Gli attori del Nou vestono costumi preziosi, i quali con la loro fastosità sembrano voler soppiantare la povertà e la semplicità della scena sintetizzata […].
Gli abiti degli attori ricordano assai approssimativamente quelli dei nobili cortigiani dell’epoca feudale. Sono costituiti in genere da casacche di broccato che hanno ricamati sul dorso i soggetti più diversi: dagli animali più vari – come cicogne, pesci, serpenti (le scaglie di serpente disegnate sul costume, per esempio, vogliono significare la gelosia femminile), gamberi, libellule – a nuvole, a ruscelli, soli tramontanti, effetti di pioggia e di nevicate.
Di solito l’abito è composto di una sottoveste dalle corte maniche e dalla giacca molto ampia, la forma della quale serve a definire il rango del personaggio, nobile o plebeo. Tuttavia tali costumi non mostrano soltanto un preziosismo fine a se stesso, ma servono soprattutto ad arricchire od accentuare un passo di danza, sottolineare una mimica, creare col loro significato simbolico una determinata atmosfera o puntualizzare un drammatico conflitto.
Il costume (shozoku) ha un suo stile tutto particolare, lontano dal realismo quotidiano, per cui ad esempio un attore può indossare indifferentemente un abito raffinato pur rappresentando il ruolo di un mendicante o di un taglialegna. Elementi caratteristici e inconfondibili degli attori del Nou sono i cosiddetti tabi, ossia un paio di calze spesse e grosse all’alluce separato dalle altre dita, che nella vita d’ogni giorno vengono portati dai giapponesi con gli zouri o waraji, specie di sandali di paglia.
Gli attori che calzano i tabi scivolano più che camminare sul tavolato del palcoscenico abbondantemente cosparso di talco. Allorché si tratti di accentuare l’attenzione del pubblico su di una particolare situazione del Nou, o per preannunziare il termine dello spettacolo, gli attori alzano un piede da terra e percuotono con esso il suolo, due o tre volte, con gesto forte e deciso.
Il simbolismo dei costumi si riflette parimenti nel gestire e nei sentimenti: così, ad esempio, un breve colpo della mano sul ginocchio indica eccitazione, qualche passo in avanti la fine del cammino, mentre l’uscita silenziosa dalla kiri-do (porta della fretta) vuol dire che il personaggio è morto; il frustino tenuto nella destra dell’attore significa che sta per salire a cavallo, nella sinistra che ne è appena disceso; un drappo ove son dipinte due ruote che gli inservienti pongono davanti allo shite vuol mostrare che costui si trova sopra un cocchio; un ombrello da quale scendono striscioline di carta bianca o argentata dichiara la pioggia o la neve; due pezzi di carta rossa inseriti nelle narici della maschera servono a far capire che l’attore è gravemente ferito, un abito posto a terra indica un malato e così via.
L’alzare, abbassare, inclinare il ventaglio può avere significati più diversi: dalla calma di una giornata estiva, alla discesa di un liquido in un recipiente immaginario, o al salire di una colonna di fumo da un gruppo di camini, o ancora può rappresentare di volta in volta un uccello, una coppa, un vassoio od una spada.
I sentimenti più profondi sono sintetizzati in brevissimi cenni, come il pianto che viene simbolizzato da un lento levare del braccio o dall’accostare con grazia la mano davanti agli occhi – gesto che, unito ad una lieve inclinazione del volto, può servire a sottolineare l’angoscia di due innamorati nel momento della separazione – e la preghiera da un semplice giunger le mani.
Tratto dal libro Storia del Teatro Giapponese di Pietro Lorenzoni
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