La nostra amica Saya ci racconta di un aneddoto raccontatole dalla nonna, che ha vissuto i duri momenti della Seconda Guerra Mondiale in Giappone. Una testimonianza significativa.
Ogni tanto capita che chieda alla nonna di raccontarmi qualcosa della guerra, lei aveva l’età da scuola media, ciononostante lei e le sue compagne di classe invece di studiare venivano mandate in spiaggia a raccogliere il ferro con le calamite per il governo.
Poi un giorno mi racconta che in un porto lì vicino, ai piedi di una collina dove in cima sorge un tempio, c’era in progetto di inviare verso le navi americane delle bombe di sola andata con a bordo un soldato per pilotarle. Un genere di kamikaze sottomarino.
Visto che mia nonna è una tra le 5 persone che ha curato un libro che tratta della storia della città e guarda il caso ha proprio curato l’articolo su questo episodio di guerra ha deciso di portarmi a vedere il luogo.
Nel maggio dell’anno 20 dell’era Showa (1945) i militari giapponesi arrivarono nel porto di Kobama (小浜)a Ohara (大原) e presero sotto controllo la parte del porto ai piedi del colle Hachimanmisaki (八幡岬). I residenti furono costretti a traslocare e sebbene contribuirono anche ai lavori di smantellamento delle proprie case per liberare l’area nessuno allora era consapevole di quello che si organizzava in fondo ai cunicoli scavati all’interno del colle.
L’arma che si adoperavano a preparare si chiamava Kaiten (回天, “girare il cielo”, inteso come “cambiare le carte in gioco”). L’arma era lunga 14 metri e con un diametro di un metro (la misura giusta per ospirare una persona all’interno). Il peso era di 8,3 tonnellate, andava alla velocità di 30 nodi l’ora e portava una carica di esplosivo dal peso di 1,5 tonnellate.
Il siluro kamikaze poteva percorrere solo la distanza di 23 km, in ciò infatti non era calcolato il percorso di ritorno. Io personalmente non me ne intendo, ma 23 km in una guerra sull’oceano mi erano parsi troppo pochi. Mia nonna mi disse che tutto il progetto era iniziato nel maggio del ’45 ed era terminato nei mesi di luglio e agosto, questo significava che il Giappone sapeva che avrebbe perso la guerra, sapeva che il nemico a breve sarebbe potuto approdare ma ciononostante il paese era disposto a combattere “fino all’ultimo uomo”! E’ questo che mi disse la nonna: “l’educazione è una cosa spaventosa, noi eravamo educati a odiare il nemico e a sacrificare la nostra vita piuttosto che vedere il nemico avvicinarsi al nostro paese.”
Per pilotare i siluri arrivarono 6 piloti addestrati, 2 per ogni siluro (uno sempre di riserva) ma per fortuna quei siluri non arrivarono mai. Dentro quei cunicoli stavano organizzando il piano ma i siluri dovevano arrivare da un’altra sede. Agli inizi del mese di agosto però, la nave che li trasportava affondò, colpita da una mina. Così del progetto intero non se ne fece più nulla.
Mia nonna mi raccontò ancora di come, dopo tanti anni, rivide quei piloti che tornarono a Ohara per non dimenticare quello che rischiarono di perdere nella guerra. In quegli anni lei stava giusto stilando assieme a quattro suoi colleghi la storia di Ohara e visto che ne curò l’articolo a riguardo li incontrò con entusiasmo. Chiesi a mia nonna cosa quei piloti avevano pensato di quella vicenda e lei mi disse: “Ovviamente erano ben felici che quella nave non arrivò mai e che la guerra fosse finita perché così hanno potuto continuare a vivere.”
Queste sono alcune foto prese da sopra la collinetta. Affacciandosi ora è pieno di rami ma ai tempi era uno strapiombo verso il mare e pare che abbia ospitato tanti suicidi. Tra le fotografie si può vedere l’inizio di quei cunicoli, ora è coperta da terra e spazzatura:
Grazie Saya per questa importante testimonianza :)
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