Chi voglia intendere lo “spirito” dello Shintou, non ha che da visitare, all’alba del primo gennaio, un importante sacrario shintou, come il Meiji Jinguu di Tokyo, il sacrario in cui si venerano come numi l’imperatore Meiji (1868-1912) e la sua sposa, sovrani al tempo in cui ebbe luogo il primo e maggiore balzo in avanti della modernizzazione nipponica.
Il “sacrario Meiji” è situato ad ovest del centro metropolitano – rappresentato dalla residenza e dal parco imperiale (Kokyo) – in una zona di parchi e impianti sportivi. Fin dal lungo viale che conduce al sacrario, ci si trova circondati da una folla di persone che si muovono nella medesima direzione, appunto verso il sacrario Meiji: anziani, donne e bambini, insieme a moltissimi giovani d’ambo i sessi.
Tutti sono vestiti bene, con gran cura, a festa; la maggior parte delle donne hanno scelto di abbigliarsi in kimono (“la cosa che si indossa“), in parecchi casi nella sua varietà cerimoniale, cioè con le maniche a lunghe ali pendenti (nagasode). Anche numerosi uomini indossano kimono dai colori austeri, grisaglia o blu notturno. Predomina il silenzio, ma non il broncio o l’uggia; s’intuisce in tutti un atteggiamento di rispetto per qualcosa di solenne, aperto però al sorriso, ad una civile serenità.
L’ingresso al parco, al territorio sacro, è segnato (come sempre in Giappone) da un grande torii, un portale caratteristico, ma semplicissimo, costituito da due colonne leggermente convergenti verso l’alto che sorreggono due elementi trasversali a profili vagamente curvilinei. La maggioranza dei torii è di legno, ma se ne vedono di bronzo, di pietra, e perfino di cemento armato.
Il termine torii è costituito in giapponese da due ideogrammi che significano “luogo dove stanno gli uccelli”. E’ vero che quest’etimologia popolare può trovare qualche giustificazione nell’antico uso di tenere in alcuni sacrari, su dei trespoli, dei galli dalla coda con penne lunghissime, ma un esame più attento riconduce chiaramente al sanscrito torana, “portale”.
L’etimologia vale non solo per il nome ma anche per l’oggetto. Infatti i torii dei sacrari shintou ricordano strutturalmente i torana indiani, per esempio quelli del famoso stupa (reliquiario buddhista) di Sanchi, nel Madhya Pradesh. Portali consimili sono frequenti nel Sud-Est asiatico (soprattutto in Thailandia); in Cina troviamo frequentemente portali non molto dissimili che hanno nome pai lu.
Dunque sia l’oggetto, con le sue cospicue variazioni nazionali e regionali, sia il nome, fanno parte di un patrimonio culturale comune a gran parte dell’Asia. Dal torii d’ingresso al parco, fino agli edifici del sacrario vero e proprio, corre un lungo viale a molteplici curve, che attraversa un vasto parco di alberi, ormai d’imponenti dimensioni, donati da ogni provincia del Giappone nel 1920. Il viale è cosparso di ghiaia, e su di essa avanzano, producendo un suono caratteristico migliaia di persone. A metà strada si sorpassa un altro torii formato da giganteschi pilastri in legno, d’un sol pezzo, sagomati da alberi millenari scoperti, dopo lunghe ricerche, nelle foreste, allora vergini di Taiwan.
Non lontano dai torii stanno delle fonti d’acqua limpida (temizuya) dove i visitatori, valendosi di ramaioli in legno, si sciacquano ritualmente la bocca. Finalmente il viale si slarga in un vasto piazzale. Si passa sotto un terzo torii, e poi oltre un portale monumentale in stile architettonico assai elaborato. Ci si trova, così, dinanzi allo haiden, l’edificio principale del complesso di padiglioni che costituiscono il sacrario. La folla s’ammassa ordinatamente e in silenzio dinanzi allo haiden, compie gli atti di rito, che richiedono pochi minuti, poi se ne torna verso l’uscita. Un foglietto, distribuito da alcuni attendenti in kimono candidi, dà sommarie indicazioni su come comportarsi per la visita augurale al sacrario:
- Siate vestiti degnamente per l’occasione. Procedete lungo il viale passando sotto i portali, i torii.
- Soffermatevi al temizuya (la fonte in pietra), e lavatevi le mani con cura. Versate dell’acqua dal ramaiolo di legno nel cavo della mano, passatevela in bocca, e sciacquatevi il cavo orale, evitando di portare il ramaiolo direttamente alle vostre labbra.
- Recatevi dinanzi allo haiden, con la faccia rivolta verso i kami (i numi) qui santificati. Gettate la vostra offerta in danaro (monete o cartamoneta) nell’apposito ricettacolo.
- Inchinatevi profondamente in avanti due volte.
- Battete le palme delle mani tra di loro due volte.
- Inchinatevi profondamente in avanti ancora una volta prima di lasciare il sacrario.
Gli stessi riti vengono compiuti al medesimo momento nelle decine di migliaia di sacrari shintou dispersi su tutto il territorio giapponese, dalle grandi città alle isole più minuscole e sperdute.
Tratto dal libro Storia delle Religioni – Cina- Estremo Oriente
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