Fino alla dinastia Meiji, il Giappone era un Paese feudale, refrattario a qualsiasi influenza esterna e caratterizzato da una vera e propria ossessione nella chiusura a qualsiasi tentativo di inclusione di elementi stranieri.
Fu nel 1578 che si impose, nel progetto di unificazione del Paese, la personalità di un condottiero impavido: Oda Nobunaga. Egli si ergeva a figura chiave nella regione centrale del Giappone e tentò, riuscendovi, di unificare i vari clan in lotta vincendo la loro resistenza in una serie di battaglie: fu imprescindibile per la vittoria finale, l’uso deterrente di una nuova arma che i nipponici impararono a costruire con maestria: il moschetto.
In realtà, egli ebbe l’intelligenza di capire per primo che l’uso massiccio della polvere da sparo gli avrebbe spianato agevolmente la strada verso la conquista di vasti territori, annichilendo definitivamente i recalcitranti capi delle tribù locali e mettendo fine alle sanguinose e disgreganti lotte interne al Paese, indebolito e frantumato da una perenne guerra civile.
Negli anni del suo governo trattò con il dovuto rispetto la casa imperiale, nonostante questi ultimi non avessero alcuna autorità de non una funzione di mera rappresentanza, status che avrebbero mantenuto fino al periodo Meiji quando alcune congiunture storiche e politiche resero possibile la mutazione del sistema istituzionale giapponese in una forma di governo che consentiva un ruolo non più marginale alla famiglia reale.
Nobunaga era un “daimyou”, cioè un signore terriero del periodo feudale, irrequieto e dal temperamento impetuoso, ma anche uno stratega militare di assoluta capacità e abilità nella conduzione della guerra. Per la sua arroganza, tuttavia, fu ucciso da uno dei suoi alleati, perché pare lo avesse offeso con i suoi modi bruschi e violenti denigrandolo al cospetto di altri soldati.
Il suo nome rimane imprescindibile per la storia del Giappone: egli viene associato alle figure di Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu che furono suoi delfini, prima di diventare condottieri e finalizzatori del progetto di unificazione del Paese. Infatti, alla morte di Nobunaga spettò a loro il compito di consolidare il potere in Giappone fondato dal loro capo carismatico.
L’opera di riunificazione sotto una sola autorità avvenne anche grazie ai loro contributi. I tre guerrieri avevano temperamenti e approcci diversi nei confronti degli avversari: comportamenti in battaglia e nel vissuto quotidiano che rispecchiavano perfettamente le loro attitudini e le diversità caratteriali.
Si narra con un aneddoto leggendario che i tre uomini, trovandosi di fronte a un uccello riluttante a cantare, ebbero reazioni diverse che ben delineavano i loro caratteri: Nobunaga affermò che lo avrebbe “costretto a cantare”; Hideyoshi, invece, lo avrebbe “persuaso e indotto con dolcezza a cantare”; Ieyasu era un temporeggiatore: “avrebbe atteso finché non avesse cantato”.
Fonte: tratto dal libro Noe Ito – Vita e Morte di un’anarchica giapponese di Francisco Soriano*** Se trovi gli articoli, le traduzioni e le recensioni di questo sito utili, per favore sostienilo con una donazione. Grazie! ***