Nel primo Novecento, in moltre strade del Giappone, frotte di ragazzini festanti accorrevano al suono familiare dello Hyoshigi, strumento costituito da due battenti di legno che annunciava l’arrivo del Kamishibaya, il narratore del teatro Kamishibai.
Si tratta di una forma di narrazione per immagini, che si diffuse come spettacolo di strada, raggiungendo livelli di popolarità straordinari, basti pensare che nella sola Tokyo si contavano circa tremila narratori che si guadagnavano da vivere vendendo leccornie di ogni genere. Si spostavano in biciclette sulle quali era montato il butai, teatrino in legno al cui interno scorrevano le immagini disegnate su carta.
Trame avvincenti dall’incedere incalzante, suspance, intreccio tra voce e immagini, erano aspetti che affascinavano il pubblico. Le storie si concludevano sovente con un “to be continued” che – giungendo in uno dei passaggi cruciali della vicenda – garantiva nuova affluenza al pubblico per l’indomani.
La parabola del kamishibai si concluse nel giro di pochi decenni, il suo declino fu segnato inesorabilmente dall’avvento della televisione negli anni ’50, ma – come una sorta di ultimo baglio al crepuscolo – lasciò il segno: i primi apparecchi televisivi che iniziarono a diffondersi in Giappone vennero indicati con il nome di “denki kamishibai”, ovvero “kamishibai elettrico”.
L’Antenato dei Manga
Anche se l’attribuzione di paternità è sempre materia piuttosto articolata e complessa, è indubbio il debito del Manga nei confronti del Kamishibai, da cui ha mutuato una serie di elementi come la drammaticità delle storie, la struttura narrativa e il senso del movimento, caratteristiche che – declinate in ambito cinematografico – costituirono motivo ispiratore anche per gli Anime.
Significativo impulso allo sviluppo del Manga, e del genere gekiga in particolare, provenne da quegli autori – come Sanpei Shirato e Shigeru Mizuki – divenuto famosissimi mangaka dopo aver iniziato la loro carriera realizzando illustrazioni per il Kamishibai.
Il Cartone Animato Giapponese
Il termine Cartoon viene utilizzato a partire dal 1940. Tra il 1977 e il 1983 si consolida il neologismo Anime che sta a indicare i prodotti di animazione giapponese, dalla contrazione della parola “animation”. Il primo cartone animato in assoluto è presentato in Francia nel 1908, costituito da 700 disegni e si impiegano circa cinque mesi per realizzarlo.
In America il pubblicitario Walt Disney produce il suo primo cartone animato nel 1928. E’ Steamboat Willie e ha per protagonista Topolino. Si deve attendere il 1932 per il primo cartone animato a colori, Flowers and trees. Il lungometraggio di Disney Biancaneve e i sette nani nel 1937 entusiasma il mondo intero ed è premiato con l’Oscar.
In Oriente il 15 aprile 1914 a Tokyo viene proiettato “Dekobo Shingacho”. Non si sa se sia un’animazione francese o inglese, ma ottiene una tale risposta positiva dal pubblico che tre case di produzione giapponese decidono di cimentarsi nell’animazione.
Nel 1917 vengono presentati diversi filmati, proposti a breve distanza uno dall’altro, tutti realizzati da tre pionieri: Shimokawa Hekoten, Kitayama Seitaro e Kouchi Jun’ichi. Il primo ad entrare in produzione, nel 1916, è La Sfida tra la scimmia e il granchio prodotto dalla Nikkatsu e realizzato da Kitayama.
L’anno successivo il primo cartone animato ad essere proiettato è Il portinaio Imokawa Muzuko realizzato da Shimokawa. Il 30 giugno 1917 è editata l’opera di Kouchi Junichi dal titolo Hanawa Hekonai e la spada di prima classe. Che l’animazione non sia un prodotto destinato ai bambini in Giappone è chiaro sin dal 1927, anno in cui Ofuji Noboru crea una favola per adulti Kujira (Balena) che narra i miseri istinti degli uomini che si contendono una ragazza.
I personaggi delle leggende giapponesi vengono riproposti in nuove avventure calate nelle problematiche contemporanee. È il caso di Momotaro disegnato da Yasui Murata nel 1932, il protagonista è invocato per uccidere uno squalo che minaccia i pescatori.
Il 25 marzo 1943 Mitsuyo Seo ripropone l’eroe con Momotaro no umiwashi (Le aquile del mare di Momotaro). Prodotto grazie ai finanziamenti dell’esercito giapponese, è il primo mediometraggio nipponico. Il cattivo da combattere questa volta è l’esercito americano. Il 12 marzo 1945 esce il lungo metraggio I Sacri guerrieri di Momotaro.
L’entusiasmo per le opere di produzione straniera e il desiderio di competizione portano nell’arco di breve tempo trail 1917 e il 1945, alla produzione di tantissime opere di animazione. Grande parte del merito di questa rapida evoluzione si deve a Osamu Tezuka, fumettista e regista, chiamato “il Dio dei manga”.
Essendo anche un regista, nel 1961, fonda lo storico studio Mushi Production. Crea 400 manga, 700 storie e 170000 tavole. Le opere più conosciute di Tezuka sono: la Principessa Zaffiro, Astroboy, Kimba, Black Jack, I magici bon bon di Lilly.
Tezuka capisce che, per riuscire a ottimizzare il lavoro, si possono riutilizzare gli stessi rodovetri per diverse scene e grazie all’utilizzo dello zoom e i movimenti della telecamera si possono creare nuovi effetti. Gli anni ’70 vedono fiorire delle opere di un altro genio, Go Nagai, con i suoi robot: (la saga dei Mazinger, Grendizer, Jeeg Robot d’acciaio ecc…), i suoi horror Mao Dante, Devilman e i fumetti maliziosi Cutie Honey.
Si stima che da dopoguerra ad oggi siano stati fatti in Giappone più di 600 film d’animazione, 900 serie Tv, 1500 OAV, portando il Giappone ad essere la prima potenza mondiale nel panorama della produzione dei Cartoni animati nata ufficialmente in Europa.
Tutta via la paternità francese è stata messa in discussione nel dicembre del 2004. Un rivenditore aveva ottenuto, da un’antica famiglia di Kyoto, tre proiettori con 11 filmati da 33 millimetri e 13 diapositive in vetro per lanterne magiche. Fra le pellicole c’era Katsudo Shashin. Secondo lo storico Frederick S. Litten suggerisce come data più plausibile il 1907. In caso l’opera fosse autenticamente del 1907, ciò rivoluzionerebbe del tutto la storia dell’animazione, dando nuova patria all’invenzione dell’animazione.
La Tecnica della Colorazione su Rodovetro
L’animazione inizialmente utilizzava la tecnica di colorazione su rodovetro, un metodo simile alla colorazione su vetro. Il rodovetro è un foglio di acetato in cellulosa (chiamato cel in inglese), inventato da Earl Hurd nel 1914. La parola “rodovetro” proviene dal nome Rhodoid dei fogli di acetato, prodotti per la prima volta in Italia nel 1938 da una ditta di Rho.
Il foglio una volta ribaltato consentiva di vedere una colorazione omogenea e senza l’effetto delle pennellate in modo che da frame a frame si creasse la sensazione di movimento senza notare difformità di colore:
- Dopo aver letto la documentazione e le referenze (linee guida standard) del soggetto da disegnare, si passa allo schizzo a matita.
- Ripasso del disegno a china.
- Studio delle ombre e dei riflessi – su una copia del disegno si segnano con una matita blu (le ombre) e i riflessi (in rosso).
- Colorazione del rodovetro – appoggiando il rodovetro sul foglio con lo stduio delle ombre si inizia la colorazione con colori acrilici. Il colore deve essere più volte stratificato in modo che non traspaia minimamente lo sfondo. Alcune volte sono necessarie addirittura cinque mani di colore per sezione. Per capire meglio quale sezione necessiti di ulteriore mani di colore si preferisce colorare sul piano retroilluminato. Indispensabile è l’utilizzo dei guanti per non sporcare e rendere opachi i fogli trasparenti. La trasparenza dei cel rende possibile sovrapporre più rodovetri in modo da poter animare separatamente alcuni livelli. Ad esempio quando un personaggio muta unicamente l’espressione oppure quando in un gruppo di persone si muove solo un membro del gruppo.
- Una volta che i colori si sono asciugati si può ribaltare il rodovetro in modo che non siano più visibili le pennellate e si veda l’effetto di una colorazione omogenea.
- Posizionamento sul fondale: il rodovetro a questo punto può essere posizionato su un fondale che sarà visibile attraverso il rodovetro non colorato dagli acrilici.
- Ogni disegno costituisce un singolo frame.
Fonte: Testo tratto da pannelli esplicativi in mostra durante l’evento Lucca Comics&Games 2019
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