Yoshihiro Tatsumi è uno dei maestri del fumetto giapponese. Poco noto al grande pubblico, Tatsumi è stata la figura centrale di un gruppo di giovani disegnatori della regione di Osaka che, a partire dagli anni Cinquanta, impressero al manga una svolta adulta le cui conseguenze sono visibili ancora oggi.
Partendo dalla fondamentale lezione di Osamu Tezuka, Tatsumi tentò di superarla ponendo le basi di quel nuovo genere che definì Gekiga.
Il termine “Gekiga” significa più o meno “disegno drammatico”. Le sue caratteristiche furono definite da Tatsumi in un vero e proprio manifesto:
- maggiore realismo nella rappresentazione e nelle psicologie dei personaggi;
- accentuazione della componente drammatica;
- eliminazione o riduzione drastica di quella umoristica;
- ricerca di un target non più di bambini, ma di giovani e adulti.
Vi riporto qui di seguito un’intervista fatta a Yoshihiro Tatsumi, tratta dalle note poste vicino ai quadri esposti alla Mostra Espositiva a Palazzo Ducale – Lucca
1. In Occidente stiamo vivendo un vero boom del fumetto autobiografico, inteso soprattutto come esplorazione del mondo interiore degli autori. E’ un fumetto molto intimo, molto incentrato sulla vita privata. “Una vita tra i margini” è diverso, perché ha un ambito molto più vasto: è insieme una biografia, una storia del manga e una storia del Giappone, dal dopoguerra fino agli anni Settanta. Qual’è stata la sua motivazione principale nell’affrontare questo volume?
Ho deciso di scrivere “Una vita tra i margini” nel 1994, su consiglio dell’editore di una rivista. Era una persona che capiva profondamente il Gekiga. A partire dal 1953 ho passato un lungo periodo, circa quattordici anni, scrivendo manga per le librerie a noleggio. Il periodo dei “libri a prestito” è stato molto difficile a livello economico, ma il divertimento nel creare nuovi manga è stato superiore alla sofferenza. Penso che il Gekiga possa essere considerato il frutto di quei “libri a prestito”, nati in situazione di povertà. A quel tempo il Giappone attraversava un periodo di confusione in cui le profonde ferite della guerra erano ancora fresche.
“Una vita tra i margini” affronta questa situazione come tema principale, descrivendo in maniera realistica il mondo dei “manga a prestito” (kashihon manga).
2. Nonostante la storia e tutti i suoi personaggi siano assolutamente reali, ha deciso di celarsi dietro una versione leggermente diversa del suo nome. Come mai?
I personaggi che appaiono in questo lavoro sono realmente esistiti e quasi tutti compaiono con la loro vera identità. Ma il protagonista, Hiroshi Katsumi, non è presentato con il suo nome reale. L’ho cambiato per poter scrivere di me stesso liberamente. Se non lo avessi fatto, avrei finito per non essere oggettivo. Con Hiroshi Katsumi invece sono riuscito a creare quella distanza dal protagonista che ha permesso a Yoshihiro Tatsumi di scrivere la propria storia con obiettività.
3. Dal suo libro è evidente l’ombra gigantesca stagliata da Osamu Tezuka su tutti gli autori del periodo, sia che volessero imitarlo, sia che volessero staccarsi da lui realizzando qualcosa di diverso. Significativamente, il libro si chiude con una commemorazione di Tezuka, a sette anni dalla morte. Al di là della sua enorme statura d’autore, qual è la lezione principale che le ha lasciato Tezuka?
Nel periodo della scuola media ero particolarmente preso dalle opere di Tezuka. Ricordo il senso quasi di sopraffazione che mi suscitava il suo disegno, e la sorpresa e il trasporto che mi ispiravano le sue storie. Se non avessi incontrato Tezuka probabilmente sarei entrato nel mondo del “manga a quattro vignette” (yonkoma manga).
Le opere di Tezuka sono state un fattore importante nel farmi dedicare interamente al raccontare storie. Il Gekiga in un certo senso deriva dalle opere di Tezuka. Il Maestro mi ha lasciato una sorta di spirito di ribellione nei confronti del manga più codificato.
4. Nelle conversazioni con Adrian Tomine, pubblicate a corredo delle edizioni americane della Drawn & Quarterly, lei afferma di non seguire granché il panorama del manga contemporaneo. Anche in “Una vita tra i margini”, lei afferma di considerare soprattutto il cinema come il suo vero punto di riferimento. E’ ancora così? Segue il cinema contemporaneo con la stessa passione di allora?
In questo periodo non guardo film, non leggo opere di altri autori di manga né romanzi. Mi lascio facilmente influenzare dall’ambiente circostante, e se vengo a conoscenza di grandi opere – non necessariamente manga, ma anche film o romanzi – il mio lavoro finisce con il sembrarmi noioso e non riesco più a scrivere. Sono come un malato debole e incline alle infezioni.
Adesso sto scrivendo il seguito di “Una vita tra i margini” (460 pagine), che sarà completato nella primavera del 2013. Fino ad allora resterò “senza guardare, senza ascoltare e senza parlare” di altre opere. Una volta che avrò terminato questo lavoro, trascorrerò giornate recuperando tutti i manga, film e romanzi che mi sarò perso nel frattempo.
5. Una cosa che colpisce molto è la vitalità della riflessione teorica che animava gli autori durante quel periodo, culminata dal suo “Manifesto del Gekiga”. A tanti anni di distanza, qual è il suo giudizio sullo stato di salute attuale del Gekiga? Scriverebbe qualcosa di diverso nel manifesto, se dovesse riscriverlo oggi?
Penso che il manga moderno, dal punto di vista tecnico, abbia fatto un notevole passo in avanti. Ai miei tempi, le opere erano poco raffinate e non ben definite. Per quanto mi riguarda non sono più in grado di scrivere opere simili a quelle del periodo di esordio del Gekiga. Adesso vorrei scrivere storie che rispecchino lo stato d’animo attuale della società.
6. Nel finale del libro si assistono alle prime dimostrazioni di protesta negli anni ’70, che per lei coincidono con una presa di coscienza: l’elemento fondamentale del Gekiga è la rabbia. Intende con questo che il Gekiga deve essere esplicitamente politico e affrontare temi sociali?
Il Giappone è stato teatro della campagna contro il “Trattato di Sicurezza” con gli Stati Uniti negli anni Sessanta. Come racconto nel libro io e i miei colleghi, che eravamo osservatori esterni, siamo entrati per caso a far parte del gruppo di manifestanti e abbiamo assaporato una sensazione che si stava ormai affievolendo.
A quel tempo non c’era alcuna intenzione di dedicarsi a temi sociali. Si passavano le giornate alla scrivania e disegnare, vivendo una situazione economica non proprio facile. Da qui scaturirono poi l’interesse e la compassione per la popolazione che viveva ai margini della società. Si potrebbe dire che nel Gekiga emerse la rabbia di un autore di “manga a prestito” nei confronti di una struttura sociale contro cui non si poteva fare nulla.
7. In Italia di suo abbiamo visto solo un’antologia di storie brevi, pubblicate prima dell’edizione americana della Drawn & Quarterly. Addirittura, una sua storia apparve su una rivista nel 1980, come esempio di fumetto giapponese per adulti, di cui allora non sapevamo assolutamente nulla. Le storie di cui parlo sono state realizzate intorno al 1970, proprio negli anni in cui scopre la rabbia di cui chiedevo poc’anzi e infatti i temi diventano via via più politici e cupi. Anche lo storytelling sembra diventare più complesso: le storie diventano più corali e meno incentrate su un unico protagonista chiuso nelle sue ossessioni. E’ un’impressione corretta?
Penso che queste considerazioni siano corrette. I racconti brevi della Drawn & Quarterly sono solo una piccola percentuale delle mie opere. Inoltre, in queste raccolte ci sono protagonisti con un futuro oscuro e difficile da immaginare. Negli anni Settanta io stesso trascorrevo le giornate nell’angoscia, dal momento che le opere pubblicate sulle riviste per ragazzi non vendevano molto. Queste circostanze si sono probabilmente proiettate nei lavori stessi. Successivamente, un gran numero di riviste hanno pubblicato raccolte di storie lunghe. Se devo esprimere i miei sentimenti, devo ammettere di essere più affezionato a queste ultime.
8. Qual è il suo punto di vista sulla società giapponese contemporanea? Continua a descriverla con le sue storie?
Terremoti, centrali nucleari, questioni politiche e territoriali: la società giapponese di oggi si trova in un momento oscuro, in cui non si riesce a intravedere il futuro. C’è un’aria pesante, la stessa che si respira nelle mie opere degli anni Sessanta. Poiché la situazione di difficoltà è mondiale, i politici parlano come se si trattasse di problemi che riguardano altri. Vorrei politici che lavorassero seriamente. E scrittori di Gekiga che scrivessero seriamente un Gekiga.
9. Nel film Tatsumi afferma che per lei il fumetto è per il 70% storia, per il restante 30% il piacere del disegno. Immagino che nel 70% di storia non ci sia solo la trama, ma anche le questioni di storytelling che sono al centro di tutto il dibattito sul manga che è uno dei temi centrali di “Una vita ai margini”. E’ soddisfatto del Gekiga, non tanto dal punto di vista tematico ma da quello tecnico espressivo?
Per quanto riguarda il mio lavoro, non sono del tutto soddisfatto. In particolare dal punto di vista tecnico, il mio lavoro è ancora acerbo. Se riuscissi a rappresentare nei miei disegni almeno la metà della storia che ho in mente, ne sarei felice. Vedo una grande saturazione in altre forme di espressione, il Gekiga potrebbe essere una delle poche ad avere ancora uno spazio vitale.
10. Per quel poco della sua opera che abbiamo visto in Occidente, sappiamo che lei è a suo agio sia con la storia breve che con il romanzo lungo. Che differenza c’è fra un formato e l’altro? Ce n’é uno che preferisce, o che ritiene più adatto per determinati temi?
Non ci sono differenze tra i temi rappresentati nei racconti brevi e in quelli lunghi. La differenza è nel tempo della narrazione. Mi piace che i racconti brevi siano taglienti come la lama affilata di un coltello. Nei racconti lunghi mi piace andare più a fondo, e l’empatia che si crea nella descrizione dei personaggi.
Ed ora vi propongo il video della Mostra Espositiva a Palazzo Ducale, realizzata da Sakura per Sakura Magazine:
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