“C’era una volta un anziano signore che viveva con sua moglie…” . Eventi del passato come questi, non importa se siano reali o favole, sono normalmente raccontati usando il tempo passato.
Questa fondamentale distinzione tra ciò che E’ e ciò che ERA è presente nella maggior parte delle lingue del mondo. Inutile dunque dire che anche il giapponese è consapevole di questa differenza, e anche molto bene.
A prima vista sembra che il passato giapponese sia una cosa abbastanza facile da gestire, finisce sempre in -Ta (qualche volta in -Da) e non deve competere con altre forme di passato e questo risparmia allo studente puntigliosi lavori di interpretazione.
Per esempio, nel momento in cui non avete fatto in tempo a vedere un film al cinema, una frase possibile è…
やっと映画館に着いた時、 映画はもう始まっていた
Yatto eigakan ni tsuita toki, eiga mou hajimatte ita
(lett. “quando sono arrivato finalmente al cinema, il film stava cominciando)
… che però noi tradurremmo con “Quando sono arrivato finalmente al cinema, il film era già iniziato”.
A differenza nostra, nel giapponese l’inizio del film, che ha preceduto il nostro arrivo al cinema, non è espresso da un passato prossimo al passivo (era iniziato) ma dal contrasto tra passato semplice (tsuita) e passato progressivo (hajimatte ita).
Questo per quanto riguarda l’aspetto facile del tempo passato. Il primo shock per gli studenti ignari arriva quando si rendono conto che le forme del passato non sono limitate solo ai verbi ma anche agli aggettivi. Mi ci è voluto un po’ di tempo per superare il fatto che una piacevole esperienza accaduta nel passato non è descritta dicendo 楽しいでした Tanoshii deshita ma 楽しかったです Tanoshikatta desu!
Altrettanto difficili sono poi le varie distinzioni di tempo nei vari livelli di cortesia. L’esempio più noto è il Grazie che può essere detto sia usando ありがとうございます Arigatou gozaimasu che usando la sua controparte passata ありがとうございました Arigatou gozaimashita.
La stessa cosa vale per le due espressioni di scuse 申し訳ございません Moushiwake gozaimasen (al presente) e 申し訳ございませんでした Moushiwake gozaimasen deshita (al passato).
In entrambi i casi, la forma passata è normalmente scelta quando l’evento a cui ci si riferisce è accaduto un po’ di tempo fa, anche se ultimamente sul web c’è chi afferma (e anche con un certo favore) che in casi del genere il tempo da usare è il presente: dopotutto i sentimenti da esprimere sono presenti non passati.
L’opinione pubblica è sempre più divisa tra おめでとうございます Omedetou gozaimasu e la sua versione passata おめでとうございました Omedetou gozaimashita. Qual è più opportuno usare, ad esempio, quando si incontra una vecchia amica un paio di mesi dopo che si è sposata?
Senza voler considerare il fatto che l’emozione e l’entusiasmo sono ormai passati, molte persone ritengono che congratularsi al presente sarebbe ormai inopportuno e quindi vanno per il tempo passato.
Ciò in cui però i giapponesi sono generalmente d’accordo è che il Felice Anno Nuovo non debba mai essere espresso al passato, quindi vi raccomando non dite 明けましておめでとう ございました Akemashite omedetou gozaimashita.
Regola generale: se pensate sia troppo tardi per usare il tempo presente, allora vuol dire che è ormai troppo tardi anche per esprimere l’augurio.
Altra cosa interessante è che il passato giapponese ha una serie di vari usi che poco hanno a che fare con il riportare cose che sono già accadute. Prendiamo due esempi:
お名前何でしたっけ?
O-namae nan deshita-kke?
Come hai detto che era il tuo nome?明日会議あったっけ?
“Ashita kaigi atta-kke?”
C’era un incontro domani?
Entrambi i modi di esprimersi, sia il nostro che il giapponese, usano qui il tempo passato per riferirsi a circostanze che chiaramente non avvengono nel passato, questo probabilmente per ammettere che si sta chiedendo qualcosa che si suppone chi chiede debba già sapere.
Altra occasione in cui viene usato il passato “non passato” è quella di annunciare scoperte improvvise. Una situazione tipica è quando qualcuno è alla ricerca di qualcosa e quando la trova esclama:
あった!
Atta!
Qui la nostra lingua e il giapponese si differenziano: il giapponese usa il tempo passato ma noi traduciamo poi al presente con “Eccolo!”. La stessa cosa vale per quando ci si accorge di qualcuno che magari si avvicina o viene verso di noi:
来た来た!
Kita, kita!
Eccolo! Ecco che arriva!
A volte il passato può anche essere usato per dare degli ordini con sfumature forti. In ちょっと待った! “Chotto matta!” (“Aspetta un secondo!“), per esempio, il tempo passato ha la resa di un imperativo; un imperativo reso con il tempo passato aiuta a dare maggiormente il senso di urgenza.
L’effetto di urgenza può essere poi ulteriormente incrementato da una ripetizione della forma stessa come anche in 食った食った! “Kutta, kutta!” (“Dai su, mangia!”) oppure come in どいたどいた! “Doita, doita!” (“Togliti di lì/Fuori dai piedi!”).
La mia espressione passata “non passata” preferita è やめた Yameta, normalmente pronunciata con la prima sillaba allungata (やーめた Ya-meta).
Traducibile letteralmente con “Mi sono fermato” è in realtà un modo poco adulto di annunciare che le cose sono andate troppo oltre e che non si è più disposti a continuare oltre questo dato punto.
La miglior traduzione o resa che possiamo dare è: Questo è tutto! Basta così!
Articolo scritto da Peter Backhaus per il Japan Times
Traduzione: Sakura Miko
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