La lingua giapponese è la lingua parlata dai circa 125 milioni di abitanti dell’Arcipelago Giapponese. E’ tra le prime dieci lingue mondiali per numero di parlanti madrelingua, ma in nessuno Stato all’infuori del Giappone essa è utilizzata come lingua ufficiale, sebbene gruppi di parlanti siano presenti nelle isole Hawaii e nelle Americhe.
Il panorama linguistico è uniforme nonostante la lingua conosca differenze di varietà regionali. Alcune caratteristiche fanno del giapponese una lingua piuttosto particolare nel panorama delle principali lingue mondiali. Innanzitutto non è stata ancora fatta completa chiarezza sulla sua origine.
Secondo le ipotesi più accreditate esso sarebbe collegato a lingue parlate un tempo nella penisola coreana o nella Cina nord-orientale e ormai estinte; tuttavia, oltre a non esservi prove solide di queste tesi, le rivalità storiche tra Giappone ed i suoi vicini rendono questa ricerca un argomento delicato per le strumentalizzazioni politiche che ne derivano. Inoltre, mentre le maggiori lingue mondiali si sono sviluppate a partire da una lingua madre, differenziandosi gradualmente da essa, il giapponese è il risultato di una serie di contatti linguistici e dell’amalgamarsi e compenetrarsi di due o più lingue.
Da qui la particolare complessità del sistema di scrittura e la continua presenza di elementi di cinese, e da tempi più recenti di elementi provenienti dall’inglese e da altri idiomi stranieri, disseminati e radicati in modo permanente nella lingua giapponese. Di fronte a queste particolarità, essa presenta aspetti comuni a gran parte degli idiomi più diffusi.
La sua struttura generale rispecchia quella di circa metà delle lingue mondiali, cioè soggetto-oggetto-verbo. In quanto a caratteristiche fonetiche – 5 vocali e una serie di consonanti la cui pronuncia non desta, per un parlante italiano, particolari problemi, inserite in una struttura sillabica consonante-vocale – non la differenziano in maniera netta da molti altri idiomi.
Fino al IV secolo d.C. il giapponese non aveva sviluppato un sistema di scrittura. Con l’evoluzione della società verso un primo sistema centralizzato di governo, la diffusione del buddhismo nell’arcipelago e la conseguente esigenza di tradurre in giapponese i classici confuciani scritti in cinese, si rese necessaria l’adozione di un sistema di scrittura. In forza del prestigio che la lingua e la cultura cinese possedevano in quel periodo, furono i caratteri cinesi, in giapponese 漢 字 – kanji, a servire da segni per scrivere la lingua parlata.
In realtà, non si può dire che sia stata una scelta del tutto felice. E’ stato scritto che “nelle mani dei giapponesi i caratteri cinesi furono trasformati in qualcosa che è spesso considerato il più intricato e complesso sistema di scrittura mai usato da una popolazione di una certa consistenza”. Le strutture delle due lingue erano, e sono tuttora, radicalmente differenti: il giapponese è un idioma polisillabico, agglutinante e flessivo, mentre il cinese è monosillabico, analitico, e con un ordine sintattico inverso rispetto al giapponese.
Fu quindi necessario adattare il sistema di scrittura cinese alle caratteristiche del giapponese. Le modifiche più rilevanti, che segneranno il successivo sviluppo della lingua, furono due. Innanzitutto si iniziarono a scrivere le parole giapponesi per mezzo dei corrispondenti caratteri cinesi, i quali, però, non persero completamente le loro pronunce originali. Perciò gran parte dei kanji, fermo il nucleo semantico, venne ad acquisire due letture: una “cinese”, o lettura fonetica (音 読 み – on’yomi), ed una “giapponese”, o lettura nativa (訓読 み – kun’yomi), radicalmente diverse tra loro, usate alternativamente senza regole precise.
In secondo luogo, poiché il giapponese fa un uso assai limitato dei toni, andò quasi completamente perduta la struttura fonetica del cinese; ciò diede vita ad un gran numero di omofoni, che rendono ancora oggi particolarmente complessa la comprensione orale.
Intorno al VII secolo la scrittura cinese era già ampiamente diffusa tra le classi colte, e fino al periodo Meiji ha rivestito un ruolo di primo piano nella lingua e nella cultura nipponica. Successivi momenti di contatto con la lingua cinese risalgono al periodo Nara (710-784 d.C.), quando studenti e dignitari di corte usavano recarsi a studiare in Cina, ed al XIV secolo, ad opera di seguaci della corrente del buddhismo Zen.
Nei circa otto secoli intercorsi tra il primo e l’ultimo contatto, la pronuncia del cinese subì sul continente cambiamenti socio-linguistici. Il giapponese, che si serviva delle pronunce cinesi, subì di riflesso l’evoluzione del cinese; pertanto ad alcuni caratteri furono associate nuove pronunce, che in certi casi sostituirono, in altri si aggiunsero a quelle precedenti. Ad esempio, il carattere 下, il cui nucleo semantico è “sotto”, poteva essere letto “shita” secondo la pronuncia giapponese, o secondo le tre on’yomi corrispondenti ai periodi di contatto linguistico con la Cina: ka, ge, a.
Dal XIV secolo il cinese continuerà a vivere nella lingua giapponese, ma da quel momento avverranno episodi rilevanti di contatto linguistico anche con le lingue e le culture occidentali. Il primo contatto con l’Occidente risale al 1543, quando una nave portoghese raggiunse un’isola nel sud dell’Arcipelago. Per circa un secolo la presenza dei missionari cattolici costituì un’importante fonte di conoscenze sul mondo e sulla scienza occidentale, in particolare per quanto riguarda la medicina, le armi e l’astronomia.
In seguito alla politica di chiusura del Paese adottata dallo Shogunato Tokugawa nel XVII secolo, i rapporti con l’esterno divennero rari fino alla metà del XIX secolo. La principale finestra sul resto del mondo era l’isoletta artificiale di Dejima, nel porto di Nagasaki, dove mercanti Cinesi e Olandesi avevano ricevuto dallo Shougun il permesso di vivere e commerciare.
I fenomeni di contatto linguistico con lingue occidentali risalenti a questo periodo non sono numerosi, e talvolta mascherati dalla grafia in kanji. Successivamente alle riforme di epoca Meiji, con l’apertura al contatto con il mondo occidentale, la penetrazione di termini stranieri nella lingua giapponese ha visto inglese, francese e tedesco come principali lingue fonti di prestiti; dal XX secolo la posizione di assoluta prevalenza è rivestita dall’inglese.
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