La lingua giapponese presenta alcune peculiarità strutturali comuni ad altre lingue ma che non si trovano in italiano o, più in generale, nelle lingue dell’Europa occidentale. Di seguito sintetizziamo i punti essenziali di queste peculiarità per permettere agli studenti che non hanno familiarità con esse di comprendere meglio le spiegazioni grammaticali del testo.
Il predicato di una frase si trova alla fine della stessa. Questo significa che oggetti, avverbi e sintagmi avverbiali precedono i predicati verbali. La lingua giapponese è dunque una lingua SOV (soggetto + oggetto + verbo) e non una lingua SVO come l’italiano.
Quando l’aggettivo si trova in posizione attributiva, sarà l’aggettivo stesso a precedere il nome e questo vale anche quando c’è una proposizione a modificarne un nome.
Nomi oppure sintagmi nominali precedono le particelle: il giapponese ha postposizioni e non preposizione come l’italiano.
La coniugazione del verbo indica tempo e aspetto. Ci sono poi due tipi di aggettivi: quelli che hanno tempo e aspetto come i verbi, e quelli che si comportano come sostantivi qui chiamati aggettivi in -na ma conosciuti anche come pseudoaggettivi. I sostantivi e gli aggettivi in -na sono seguiti da una copula quando usati come predicati.
Una frase in cui si distingue soggetto e predicato può anche essere suddivisa in due parti: tema e commento (rema). Il tema, marcato dalla particella wa, si trova di solito nella posizione iniziale ma di una proposizione o di una sequenza di proposizioni.
Non esiste numero né genere.
I numerali sono di solito combinati con un classificatore che indica la categoria a cui appartiene l’oggetto da contare.
Esistono diversi registri linguistici. Gli enunciati possono essere, per esempio, in forma piena o gentile a seconda della situazione; lo stile può anche essere determinato da suffissi aggiunti al predicato oppure utilizzando vocaboli particolari per sostituire quelli del lessico corrente, esprimono rispetto per l’interlocutore indicando che ha uno status più importante del parlante.
Il predicato è l’unico costituente della frase che non può essere omesso. Altri costituenti, compresi temi, soggetti e oggetti, possono invece essere omessi ogniqualvolta il parlante ritenga siano desumibili dal contesto. Inoltre, dal momento che è fondamentale anche quanto non esplicitato, in giapponese la comprensione del contesto è di massima importanza.
L’unica basilare fonetica nel giapponese standard è la mora alla quale si attribuisce un valore temporale uguale a una sillaba breve. Ad ogni mora di una parola viene attribuito un tono alto (A) o un tono basso (B). A differenza dell’italiano, in cui le sillabe accentate tendono ad essere allungate, in giapponese, sia le more con tono alto sia quelle con tono basso sono percepite con una lunghezza quasi identica. Questo vale anche quando si hanno vocali lunghe (per esempio to-o-kyo-o di quattro more), more nasali (per esempio ni-ho-n-go, di quattro more), e doppie consonanti (per esempio i-t-ta, di tre more).
Per tutte le parole, la seconda mora è bassa se la prima è alta e viceversa. Per esempio, prendiamo in considerazione il tono dei sostantivi quando sono seguiti dalla particella ga che marca il soggetto. I nomi di due more + ga hanno la struttura BAA (per esempioあれが), BAB (per esempioやまが) e ABB (per esempioじしょが); nomi di tre more + ga hanno la struttura BABB (per esempioあなたが), e ABBB (per esempioなんじが).
Articolo estratto dai tre volumi:
- Corso di lingua giapponese (Hoepli) – Volume 1
- Corso di lingua giapponese (Hoepli) – Volume 2
- Corso di lingua giapponese (Hoepli) – Volume 3
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