In Giappone si è scoperto che un recente sondaggio nazionale sugli hikikomori aveva ignorato una fetta discretamente nutrita di popolazione. Le donne.
Sono infatti ben 130mila le hikikomori nel Paese e se lo si evince solo adesso è perché i sagaci ideatori del censimento non avevano incluso le casalinghe, le madri single e le badanti domestiche. Si dava per scontato che queste categorie sociali non potessero soffrire della sindrome più nipponica che esista.
In men che non si dica si sono approntati gruppi di consulenza per aiutarle a uscire dalla “depressione del recluso”. L’hikikomori, al contrario della percezione comune, non è solo quella patologia che scaturisce da una psiche debole persa tra manga e videogiochi, ma è una tendenza all’autoisolamento che deriva dal particolare stile di vita e aggravata dalla conformazione delle stesse abitazioni.
In Giappone l’uso di finestre e balconi è limitato, i soffitti sono bassi, e moltissime residenze sono loculi angusti scarsamente illuminati. Dunque chi più rischia di scivolare nella solitudine cronica è proprio chi si vede costretto a un’esistenza limitata entro le mura domestiche.
In particolare a soffrire sono quelle donne di mezza età – nubili, vedove, divorziate – che diventano le badanti a tempo pieno dei propri genitori anziani. A tal fine lasciano il lavoro e si trasferiscono nella stessa abitazione dove finiscono per perdere ogni contatto con il mondo esterno.
Fonte: Articolo scritto da Cristian Martini Grimaldi per Il Venerdì di Repubblica del 24 Dicembre 2020
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