Considerando le grandi trasformazioni di cui è stato protagonista il Giappone soprattutto negli anni Ottanta, non si può sorvolare sul profondo cambiamento di status che ha interessato la donna giapponese.
Nel passato ci si aspettava che la donna accettasse il suo ruolo tradizionale di madre, casalinga, consumatrice, consolatrice e assistente delle persone più anziane della famiglia. Il ruolo predisposto ed ereditato per cultura e costume non prevedeva la vita sociale determinata dall’occupazione e dallo svolgimento di una professione. Le abilità della donna si esplicavano essenzialmente in casa.
Negli anni Ottanta importanti riforme, riguardanti tra l’altro la scuola e la famiglia, hanno permesso ad un sempre maggiore numero di donne di raggiungere livelli superiori di istruzione ed anche nell’occupazione la componente femminile è cresciuta rapidamente. Nella vita sociale extra-familiare, nella vicenda politica, nella progressione di carriera, le donne giapponesi si sono aperte un varco in un tempo impensabile.
La legge sulle pari opportunità in occupazione (1985) e la convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne diedero il loro contributo all’emancipazione sociale della donna. Inoltre la crescita economica, l’era dell’informazione, l’espansione del settore terziario dei servizi hanno senz’altro influito sulla trasformazione del modello occupazionale maschile ed hanno permesso di guardare alla donna non più esclusivamente come componente ausiliaria del lavoro dell’uomo, ma come soggetto competente e capace di svolgere le stesse mansioni ai livelli concettuali superiori.
Non si può tuttavia affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la donna giapponese s’incammina verso il terzo millennio sia totalmente catapultata nella società delle professioni ed abbia completamente chiuso con la tradizione, con i valori della casa e della famiglia, dei figli, del marito, degli anziani.
Più realisticamente la donna giapponese, come la donna europea, mantiene il doppio ruolo in casa e fuori casa con il sovraccarico delle funzioni e delle aspettative che porta in molti casi a scegliere la via anagrafica dello stato libero, o single, od al massimo il modello della famiglia nucleare con sempre meno figli.
La recessione mondiale degli anni Novanta ha colpito, anche in Giappone, più le donne degli uomini e questo fatto ha dimostrato che in stato di benessere socioeconomico non è poi così difficile riconoscere quelle parità e quei diritti che in condizioni di crisi di produzione ed investimenti vengono pesantemente penalizzati a svantaggio dei ceti, per varie ragioni, più deboli.
Vi è un’abbondante letteratura mondiale che pone le donne tra i ceti più deboli a tutti i livelli di occupazione: dalle donne operaie alle donne intellettuali. Le eccezioni confermano la regola. La recessione acuisce la discrepanza tra “uguaglianza legale” e “realtà occupazionale”: donne e uomini hanno lo stesso diritto al lavoro, ma a parità di titoli l’uomo è richiesto dalle aziende ed assunto più facilmente.
In proporzione la competitività delle donne è durata ben poco dal momento che già verso la fine degli anni Novanta, si assiste ad una riduzione delle assunzioni delle donne ed alla preferenza delle assunzioni degli uomini considerate prioritarie nei settori nei quali viene chiesto il tutolo di studio universitario; vale a dire, a parità di titolo di studio conseguito, l’azienda preferisce impiegare l’uomo piuttosto che la donna e se si è in fase di licenziamento le prime ad essere mandate a casa sono le donne. La donna giapponese degli anni Novanta vive la sua “era glaciale” quanto ad opportunità di impiego ed ambiente di lavoro.
Nel 1992 una nuova legge sulla maternità permette alla donna di assentarsi dal lavoro fino ad un anno, senza perderlo, ed ulteriori agevolazioni fiscali sono state introdotte nel 1995 anche nella prospettiva di incentivare le giovani coppie ad avere figli.
La famiglia, la casa, la scuola, il lavoro, la politica sono sfere tra il privato ed il pubblico nelle quali la donna sviluppa il suo ciclo vitale che è sempre più o meno pesantemente influenzato dalle condizioni economiche di appartenenza, dall’età, dal luogo di residenza, dagli eventi familiari, dal grado di istruzione, dalla cultura di riferimento.
Tratto dal libro Il Caso Giappone – Educazione e sviluppo nel Paese del Sol Levante di Mauro Laeng, Hervè A. Cavallera, Sandra Chistolini, Koichiro Maenosono, Yasuo Takakuwa, Alberto Nigi e Clara Tsugiko Sakai
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