Hokusai (1760-1849) visse durante quel lungo periodo della storia giapponese noto come epoca Tokugawa, dal nome della dinastia che governava il paese, altresì conosciuto come periodo Edo, dalla denominazione della capitale, l’attuale Tokyo.
Tale fase storica ebbe inizio nel 1603 quando Tokugawa Ieyasu si nominò shougun (“generalissimo”) dopo avere sconfitto i suoi rivali in una storica battaglia avvenuta a Sekigahara, che pose fine a un lungo periodo di lotte intestine durato alcuni decenni; nel giro di pochi anni, Ieyasu riuscì a domare gli ultimi focolari ribelli e a riunificare il territorio sotto la sua supervisione.
Il piccolo villaggio di Edo, dove già sul finire del Cinquecento aveva trasferito il suo quartier generale, fu innalzato al rango di capitale, relegando così Kyoto, l’antica sede imperiale, a città residenziale della famiglia del Mikado (“imperatore”), ormai privato di ogni privilegio politico e decisionale: la sua popolazione, grazie a una legge ideata dal governo militare in base alla quale ogni possidente terriero del paese doveva trascorrervi forzatamente un lungo periodo dell’anno passò in breve dalle poche migliaia al milione di abitanti.
Ieyasu riuscì a trasmettere per diritto ereditario il titolo di shougun ai suoi figli: la dinastia rimase così al potere fino al 1868, per oltre due secoli e mezzo. Il paese visse in una pace relativa, possibile grazie all’autosufficienza economica e all’isolamento dal resto del mondo.
All’inizio del XVII secolo infatti i Tokugawa si decisero per l’espulsione di tutti gli stranieri, a eccezione degli olandesi e dei cinesi la cui presenza fu relegata all’isoletta di Deshima, nel golfo prospiciente la città di Nagasaki. Tale decisione fu dettata soprattutto come drastica misura cautelativa nei confronti delle comunità cristiane.
I primi occidentali a giungere in Giappone furono i portoghesi verso la metà del XVI secolo, cui seguirono delegazioni di spagnoli, olandesi e inglesi. Scopo di queste missioni era non solo l’inizio di rapporti commerciali ma anche l’evangelizzazione dei nipponici.
Questa ebbe un grande successo tanto che in breve i giapponesi divennero il popolo più cristiano di tutta l’Asia: tra momenti più o meno felici e sporadiche persecuzioni, i cristiani riuscirono a rimanere in Giappone sino al 1637 quando un eccidio avvenuto a Shimabara coinvolse sia gli occidentali sia i cristiani giapponesi, ponendo fine per sempre allo sviluppo delle comunità cattoliche nell’arcipelago.
Il benessere fu la conseguenza più gradita e immediata della pace instaurata dai Tokugawa, nonostante creasse non pochi problemi ai samurai che nel giro di pochi anni si videro privare dei privilegi e anche della principale loro occupazione:la guerra; al contrario, le condizioni di vita della classe dei mercanti (chounin) ebbero un repentino miglioramento.
Edo e le altre maggiori città del paese – Osaka e Kyoto su tutte – brulicavano di vita e di spensieratezza, offrendo ai propri abitanti un vasto repertorio di divertimenti, più o meno legalizzati, dalla prostituzione al teatro popolare kabuki, dal sumou alla letteratura e all’arte.
Il termine ukiyo (“mondo fluttuante”) servì meglio degli altri a rendere l’atmosfera gaia e festante in cui trascorrevano la vita i giapponesi più fortunati. Era nato un nuovo stile di vita e una nuova società che sembravano sospesi nel tempo e nello spazio, incolumi rispetto a tutte le brutture e le tristezze del mondo. Poi un giorno del 1853 all’orizzonte apparvero le navi della flotta statunitense guidata dal commodoro Perry: oltre ai cannoni, offrivano anche la conoscenza di un altro mondo e di altri stili di vita.
La tentazione fu troppo forte, e nel giro di quindici anni il Giappone si risvegliò bruscamente dal suo torpore; nel 1868 l’ultimo shougun Tokugawa fu destituito, l’imperatore Meiji (1868-1912) riprese la sua funzione di capo temporale oltre che spirituale e il paese aprì i suoi confini al resto del mondo.
Hokusai visse quando tutto ciò avvenne: godé del benessere ancora elevato nella seconda metà del XVIII secolo, ma avvertì anche nella prima metà dell’Ottocento l’incombere e la volontà dei suoi conterranei di un radicale cambiamento, d’altronde inevitabile.
Forse in vecchiaia, quando ormai quasi ottantenne dovette subire i patimenti della carestia del 1837.
Tratto dal libro Hokusai (La grande biblioteca dell’arte) – Collana Giunti
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