Un aidoru è un ragazzo o una ragazza dai quattordici ai diciassette anni, senza particolari talenti, che non lancia messaggi di particolare spessore o interesse, e che viene esposto ai media in ogni dettaglio della sua vita. Gli aidoru cantano senza saper cantare e ballano senza saper ballare, pubblicizzano ogni tipo di prodotto e qualsiasi dato della loro vita fa parte dello spettacolo televisivo.
Sono semplicemente delle meteore che, raggiunti i vent’anni e la maturità fisica, vengono scartati perché adulti, quindi non più “vendibili”. Un caso che ha fatto scalpore è quello di Yu Haga, un idolo virtuale:
Yui Haga è un fantasma fatto di corpi e voci differenti. Ai concerti la sua faccia è oscurata e la sua voce è pre-registrata. In televisione viene raffigurata come un cartone animato, una graziosa ragazzina con gli occhi da cerbiatta. A un party per il lancio di un libro fotografico pubblicato di recente, c’erano tre ragazze al tavolo degli autografi. I fan potevano avere la firma di quella delle tre che più corrispondesse alla loro interpretazione di Haga-chan. Tutti sanno che Yui Haga non esiste. Perciò può essere qualsiasi cosa per qualsiasi persona. [Karl Taro Greenfield, Speed Tribes. Children of the Japanese Bubble]
Così come gli aidoru, anche le adolescenti comuni tendono ad assumere un atteggiamento infantile, senza rinunciare a una punta di malizia. Magliette oversize che nascondono biancheria intima sexy o abiti fino al ginocchio di pizzi e merletti indossati con un tocco di impertinenza: tutto ciò che i giapponesi chiamano burikko. Sono le stesse ragazze che leggono shoujo manga, tipica prova del Complesso di Cenerentola.
Giorgio Amitrano, il traduttore italiano della celebre scrittrice Banana Yoshimoto, nella postfazione di Kitchen, romanzo d’esordio dell’autrice, analizza le peculiarità di questo genere di manga, ritenendoli per la maggior parte colmi di storie stereotipate, di amori platonici di giovani fanciulle ricciolute e infiocchettate (tutte rappresentate secondo una fisicità occidentale) che si innamorano di giovani professori, cavalieri e principi senza macchia e senza paura, ma tutti stranamente riluttanti.
Nel corso degli anni Settanta, con l’uscita del manga Versailles no Bara (La rosa di Versailles, più comunemente conosciuto in Italia come Lady Oscar), viene introdotto il tema dell’ambiguità sessuale, che è poi stato sempre più calcato e presente nei manga per ragazze. Pian piano le atmosfere trasognate assumono sfumature lievemente sadomasochiste e si moltiplicano le trame che vedono come protagonisti giovani omosessuali, quindi la combinazione dell’amore rappresentato in chiave distruttiva e un’illustrazione sempre più raffinata e particolareggiata sono il risultato di ciò che più attrae le ragazze in Giappone (si veda Giorgio Amitrano, in Banana Yoshimoto, Kitchen)
Le eroine nei fumetti popolari femminili sembrano modelle occidentali, come le gambe lunghe e occhi grandi. Spesso appaiono anche più alte della loro controparti maschili, ritraendo un ideale piuttosto che un’immagine reale. Lo spazio urbano nella città manga è altrettanto dominato dalla giovane donna, a passeggio nel suo abito e trucco perfetto da manga, e le ultime tendenze e accessori vengono esposti nelle vetrine della boutique di tutta la città. [Atsushi Ueda, Electric Geisha. Tra cultura pop e tradizione in Giappone]
Il kawaii con fiocchi, pizzi, merletti, gadget dal sapore infantile, fumetti e disegni animati è quindi una sorta di maschera per la gioventù giapponese contemporanea dietro la quale nascondere un profondo senso di malessere e un nichilismo dovuti a una società forse troppo rigida e frenetica della quale non si sentono parte, preferendo spesso evadere in un mondo effimero, molto lontano dalla realtà, molto più puro e virginale, dove si può custodire un frammento di fanciullezza.
Fonte: Estratto tratto dal libro “Kawaii Art – Fiori, Colori, Palloncini (e Manga) nel Neo Pop Giapponese di Valentina Testa ed edito da Tunué
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