E’ avido d’amore, lo shōjo manga. Lo è stato sin dalle prime luci dell’alba, quando scoprì di interessare un numero sempre maggiore di lettrici. Che fosse un tema universale, l’amore, lo sapevano anche i Signori del Fumetto Giapponese, quando lo shōjo manga era di casa con un romanticismo sdrucciolevole e mélo, come soltanto gli uomini sanno scrivere.
Ma prima ancora di passare completamente, o quasi, dalla parte del genio femminile, il fumetto per ragazze aveva già aperto uno spiraglio espressivo per distinguere e distanziarsi dallo shōnen. Se l’amore è il segno particolare dello shōjo, sulla sua carta d’identità sono state apposte altre precise caratteristiche fisiche che ne hanno consolidato la fama, oltre a renderlo riconoscibile a vista anche in contesti che di femminile hanno ben poco (parodie, super-deformed, citazioni). E mentre sono indaffarate nelle loro schermaglie amorose, le protagoniste di questi fumetti – probabilmente non se ne rendono conto – tradiscono nei loro occhi tutto il senso estetico di questo genere.
Hanno occhi disegnati “grandi grandi” che non si interrogano se divorziare ancora da qualche celebre fiaba o meno, tranne farsi carico di una testimonianza importante per le arti visive del Giappone. […].
Dunque, gli occhi delle eroine dello shōjo, di poco più grandi di quelli degli eroi maschili, da disegnare preferibilmente con tratto leggero e sottile secondo le richieste delle stesse lettrici, sono uno dei nuclei estetici che caratterizzano il genere ma, come sempre succede in questo tipo di speculazioni, sottintendono ben altro.
Gli occhi delle eroine non sono comuni: sono un ampio buco nero che emerge sul volto, al centro del quale le disegnatrici hanno imparato a inserirvi una pupilla a forma di “stella” circondata da luccichii.
Lì dentro scorre almeno un intero universo di passione e femminilità dove l’anima si smarrisce, esattamente come avviene quando fiori, alberi, moti ondosi si frappongono tra la scena ritratta e la protagonista che la vive. Per i personaggi dello shōjo manga a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, questa trovata coincide con lo spessore fiabesco che aleggia sulle vicende narrate, con la pretesa visceralmente romantica di scovare un principe azzurro: sia esso un nobile londinese o un marinario (Lady Georgie), o il ragazzo della porta accanto.
E’ anche vero che la contemporaneità s’è presto disamorata di quegli sguardi così limpidi ed essi sono ritornati a essere più umani, comunque ostinatamente grandi e spaziosi, perché dentro di sè continuano a covare un tesoro di desideri e intime pulsioni. Sono occhi velati di malinconia e mistero in Mars di Fuyumi Soryo, scuri e profondi come quelli di Ai Yazawa in Cortili del Cuore
o di Saki Hiwatari
in Proteggi la Mia Terra
.
Eppurre non hanno dimenticato a chi appartengono: ragazzine che faticano a rinunciare al romanticismo, tantomeno alla propria emancipazione in quanto donne che affrontano la vita senza rinunciare alle lacrime, senza quegli stereotipi da melodramma che potrebbero paradossalmente esse stesse definire per leggere e amare: la madre di Mikako Koda, in Cortili del Cuore, di professione fa appunto la disegnatrice di shōjo manga, immedesimandosi in essi.
Articolo estratto dal libro Come bambole. Storia e analisi del fumetto giapponese per ragazze di Mario A. Rumor
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