In questi giorni si celebrano i quarant’anni che Candy Candy, shojo manga tra i più famosi di sempre ideato da Kyoko Mizuki come sceneggiatura e Yumiko Igarashi come disegni, è stato pubblicato per la prima volta in Giappone dalla casa editrice Kodansha, prima sulla rivista Nakayoshi e poi in volume.
Il manga uscì dal 1975 al 1979, in parallelo ne fu tratta la celeberrima e lunghissima serie tv di oltre 115 episodi, trasmessa con successo in vari Paesi del mondo, tra cui Francia e Italia, dove fu una delle più amate di sempre, anche dai non otaku.
A quarant’anni di distanza, cosa resta di un manga, di un anime e di un personaggio a cui una controversia legale tra le due autrici, partita da Yumiko Igarashi dopo la fine dell’amicizia con Kyoko Mizuki, impedisce ogni ulteriore pubblicazione su carta, trasmissione in tv e anche uscita di dvd e simili?
Beh, in fondo abbastanza, perché Candy Candy ha significato non poco per chi era bambina o ragazzina all’epoca, e c’erano anche diversi maschietti che la seguivano, anche perché la storia era molto meno melensa di quello che poteva sembrare.
Pur con alcune facilonerie di fondo, soprattutto nella realizzazione (la protagonista non si cambia mai d’abito per lunghe puntate, un tratto tipico dell’animazione nipponica anni Settanta che puntava sulle trame ma non su altri dettagli), Candy Candy resta un’ottima storia di formazione e di crescita, mettendo al suo centro una bambina e poi ragazzina e poi giovane donna anticonformista, politicamente scorretta, testarda, generosa, in cerca della sua strada, che studia e lavora per realizzarsi, circondata comunque da una serie di personaggi interessanti e curiosi.
Il tutto avviene in un’atmosfera da fiaba, in un Occidente reinventato con qualche punto fermo (i panorami di Londra e della Scozia sono abbastanza fedeli) in cui trova spazio comunque il riferimento storico preciso alla Grande Guerra, di cui tra l’altro sta ricorrendo il centenario, che costerà la vita ad uno dei personaggi forse più riusciti, il bizzaro inventore steampunk Stear.
Oltre allo sfondo storico, non poi così superficiale, in Candy ci sono vari riferimenti a classici occidentali, da Papà gambalunga, che porta poi una conclusione che a molti non piacque, e cioè che Candy preferisce il troppo buono Albert al decisamente più pieno di difetti e interessante Terence, a Orgoglio e pregiudizio, visto che le schermaglie tra Candy e Terence somigliano non poco a quelle tra Darcy ed Elizabeth, da Romeo e Giulietta, citato più volte, a Jane Eyre, da cui Candy deriva un temperamento forte e una ricerca della propria strada.
In Italia Candy Candy fu all’epoca uno degli anime e dei manga più sfruttati come gadget, grazie al Gruppo Editoriale Fabbri che pubblicò il manga, colorizzato, all’interno di un settimanale che fu il primo tentativo di proporre shojo nel nostro Paese, e che sfruttò il personaggio con una linea di quaderni, diari, penne, poster, adesivi, dischi. L’anime e il manga di Candy arrivarono in Italia nel 1980: le repliche del cartone animato durarono fino al 1997, quando di colpo furono bloccate dalla causa legale.
Chi ha potuto, si è procurato le registrazioni degli episodi in tv e i due film di montaggio, Candy Candy e Candy Candy e Terence, usciti al cinema in quegli anni con un finale cambiato e poi in vhs alla fine degli anni Ottanta per la scomparsa Avo Film. Sui mercatini dell’usato reali e virtuali e alle fiere, si trovano, a prezzi altalenanti, i giornalini, alcuni gadget, i libri e i dischi, ma purtroppo il personaggio di Candy sembra destinato ai ricordi e non ad una nuova vita, come altri dell’animazione nipponica.
Anche se va detta una cosa: Kyoko Mizuki, dopo la sentenza che aveva stabilito che sia lei che l’ex collega e amica Igarashi dovevano usufruire alla stessa maniera dei diritti del personaggio, ha scritto due libri, sorta di seguiti di Candy, che sono in uscita in italiano per Kappa Lab, e sembra intenzionata a riprendere in mano ancora il personaggio. Forse ci sarà una nuova vita per la Signorina Tuttalentiggini, almeno letteraria, e in attesa celebriamo comunque i primi quarant’anni di un personaggio che, in questi tempi di ragazze sottomesse tra sfumature e simili, almeno sapeva ribellarsi e mantenere la sua dignità.
Dossier scritto da Elena Romanello per SakuraMagazine
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