La storia recente del costituzionalismo in Giappone può essere divisa in due periodi principali, l’uno facente capo alla Costituzione promulgata nell’epoca Meiji nel 1889, ispirata dai principi del costituzionalismo occidentale, l’altro, contemporaneo, caratterizzato dall’adozione della Costituzione del 1946, in occasione dell’occupazione del Giappone da parte delle forze alleate all’indomani del secondo conflitto mondiale. Come si vedrà in seguito, nell’intento delle forze alleate quest’ultimo testo avrebbe dovuto inaugurare la stagione della costituzionale in Giappone.
Il carattere rivoluzionario della Costituzione del 1889 risiedeva nel riconoscimento formale dei diritti individuali dei cittadini, pur con i limiti che meglio verranno individuati in prosieguo. Tale riconoscimento costituì una rilevante novità nel panorama giapponese in quanto, anteriormente, in una società caratterizzata dall’influenza del neo-confucianesimo e che prevedeva un complesso sistema di relazioni basate sull’ordine gerarchico, i diritti venivano riconosciuti a seconda dell’appartenenza ad una determinata classe o del riconoscimento di un certo status.
La Costituzione dell’epoca Meiji incorporò comunque numerose norme riferibili alla struttura sociale antecedente. Elementi tradizionali vennero così inseriti in un nuovo contesto, che fu considerato espressione di una monarchia costituzionale. Tale sistema rappresentava un ponte tra il regime semi-feudale dell’epoca Tokugawa ed il nuovo governo autoritario centralizzato dell’epoca Meiji ed in esso l’Imperatore conservò solo il ruolo di primo piano nella rappresentazione dell’unità nazionale, offrendo al contempo una legittimazione alla nuova forma di organizzazione istituzionale dello Stato.
Al dissolvimento del regime feudale a seguito del verificarsi della restaurazione imperiale e dell’organizzazione delle prefetture, il Giappone ritenne matura l’esigenza di conformarsi ai moderni stati occidentali. Ai cittadini vennero offerte nuove forme di partecipazione sociale e contemporaneamente aumentarono le istanze rivolte a dotare il Giappone di un moderno sistema costituzionale. Si riscontrò, inoltre una particolare istanza rivolta al rafforzamento della partecipazione dei cittadini anche ad un livello locale.
Il compito di redigere un primo progetto della Costituzione fu affidato nel 1873 al Sa-in, organo deliberativo con funzioni di discussione e presentazione dei progetti di legge al Sei-in, uno dei più importanti dipartimenti del governo.
Nel 1875 il Sa-in venne abolito e della redazione del progetto fu incaricato il presidente del Consiglio degli anziani (Genroin). I progetti proposti dagli esperti del Consiglio furono respinti per presunto eccesso di democraticizzazione. Al tempo stesso diversi progetti ideati da istituzioni private vennero resi pubblici, determinando però una reazione di contenimento da parte delle autorità governative, le quali decisero, con un’ordinanza del 1880, di sopprimere la libertà di esercizio delle attività politiche.
E’ a partire dagli anni ’80, successivamente alla promulgazione del 1881 dell’editto imperiale per la costituzione di un’Assemblea Nazionale, che si inaugurò il periodo delle missioni esplorative in Europa finalizzate all’acquisizione della cultura giuridica europea, soprattutto germanica.
Il sistema tedesco, che coniugava l’autorità all’esistenza di un potente e centralizzato esecutivo, mirato a garantire l’autorità dell’Imperatore, con un’assemblea parlamentare, anche se limitata nei suoi effettivi poteri legislativi, appariva al tempo il più compatibile con la struttura istituzionale del Giappone.
Seguendo quest’ultimo modello, l’imperatore Meiji promulgò la Costituzione l’11 febbraio 1889, unitamente alle Regole della Casa Imperiale (Koshitsu Tenpan), che furono considerate parte integrante della Costituzione.
Il testo costituzionale era rivelatore delle due contrapposte anime del Giappone della fine del XIX secolo. Si delineava al suo interno il conflitto tra la teoria assolutistica, secondo la quale la sovranità dell’Imperatore è fondata su presupposti divini, ed i vari principi del costituzionalismo moderno.
La natura della Costituzione fu definita dualistica e la contestuale previsione di principi contraddittori, tra l’altro espressi tramite l’utilizzo di disposizioni succinte, determinata l’inevitabile manifestarsi di difficoltà interpretative di primo piano, in quanto coinvolgenti direttamente il ruolo ed i poteri dell’Imperatore, a seconda che lo si considerasse un mero organo dello Stato o un’autorità posta al di sopra delle altre in quanto direttamente investita dal potere divino (teoria della sovranità imperiale), espressione di una sovranità che non poteva in alcun modo essere limitata, neanche dagli organi di natura rappresentativa.
Dall’analisi storica affiora come i primi anni successivi alla promulgazione della Costituzione abbiano evidenziato il prevalere della teoria della sovranità imperiale, con un esecutivo poco propenso a confrontarsi ed a dialogare con i rami del parlamento.
Il governo era di fatto rappresentato dall’Imperatore così determinando una quasi totale immunità dell’esecutivo dalle istanze politiche degli organi rappresentativi. Solo successivamente alla guerra Sino-nipponica (1894-1895), in conseguenza delle istanze dell’opinione pubblica sostenute da movimenti di recente formazione quali il Movimento per i Diritti del Popolo, l’esecutivo cominciò a cooperare con i rami del parlamento, riconoscendo ed incrementando di conseguenza il potere politico della Dieta.
Le oscillazioni interpretative della Costituzione non rappresentarono pertanto solo dei problemi di ordine dogmatico, ma incisero sostanzialmente sulla vita politica del Giappone. Presupposti di carattere economico, uniti a preoccupazioni di un’adeguata rappresentatività del popolo giapponese, influirono sullo sviluppo delle teorie sorte nel periodo Taisho (1912-1924), laddove Sakuzo Yoshino elaborò la dottrina della sovranità del popolo giapponese (Minponshugi) e Tatsukichi Minobe riuscì a promuovere la teoria che riteneva l’Imperatore quale semplice organo dello Stato (Tennoo Kikansetsu).
Dopo pochi anni la situazione mutò radicalmente. Con l’avvento del totalitarismo, conseguenza di una profonda incertezza della politica giapponese di fronte ad una situazione di crisi dell’intera area dell’Asia orientale e di una generalizzata perdita di fiducia del popolo nei confronti del sistema dei partiti, un governo fortemente centralizzato appoggiato dall’apparato militare attribuì un rinnovato ruolo alla sovranità imperiale, rigettando le predette teorie.
Il documento costituzionale, all’epoca della sua promulgazione, fu formalmente presentato al popolo giapponese come una concessione dell’Imperatore, al quale era riconosciuto un carattere sacrale ed inviolabile. Il tenore letterale del testo evidenzia uno squilibrio sia tra l’effettivo potere dell’Imperativo ed il ruolo delle istituzioni civili, sia tra gli enunciati diritti e doveri dei cittadini (artt. 18-32) e le limitazioni di tali diritti da parte delle facoltà attribuite al legislatore ed all’Imperatore.
Ogni diritto garantito dalla Costituzione poteva venire limitato, od anche soccombere, di fronte a norme di legge (non costituzionali), decreti imperiali aventi forza di legge od in conseguenza del diretto esercizio da parte dell’Imperatore dei suoi poteri in caso di guerra od emergenza nazionale.
Va però precisato che il riconoscimento di questi ultimi poteri appare coerente con le disposizioni del primo capitolo della Costituzione, laddove la figura dell’Imperatore medesimo assumeva il ruolo di capo dell’Impero giapponese, titolare del diritto di sovranità a norma delle disposizioni della carta costituzionale.
Tratto dal libro “Trattato di Diritto Comparato” diretto da Rodolfo Sacco – “Diritto dell’Asia Orientale” di Gianmaria Ajani, Andrea Serafino e Marina Timoteo, con la collaborazione di Chen Han, Andrea Ortolani e Piercarlo Rossi
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