Convivono nella capitale del Giappone due anime: quella di Edo e quella di Tokyo. La città infatti non si è sempre chiamata allo stesso modo. Prima del 1868 si chiamava Edo, parola che significa “porta del fiume”, dal nome di un villaggio situato un tempo là dove il fiume Sumida sbocca nel mare. Tokyo invece è il nome che le venne dato dopo che essa fu elevata al rango di capitale del Giappone: significa “capitale d’Oriente”, perché tale rispetto alla più antica sede del potere imperiale, cioè a Kyoto.
Della vecchia Edo resta solo il nostalgico ricordo, tramandato nelle stampe di Hiroshige e degli altri maestri delle xilografie giapponesi, nonché dalle descrizioni dei più antichi visitatori occidentali, che non facevano che dirne meraviglie. Ne magnificavano la bellezza della reggia, dai tetti coperti di tegole dorate, che risplendevano da lontano come montagne d’oro; ne elogiavano l’ampiezza delle strade, molto più larghe, lunghe e diritte di quelle dei paesi europei e così pulite che sembrava che nessuno le percorresse; ne ammiravano la maestosità dei templi e dei mausolei, la grazia dei parchi e dei giardini, la leggiadria dei lunghi ponti arcuati costruiti in legno, sotto cui scorrevano fiumi dalle acque limpide, solcate da imbarcazioni cariche di gente festante.
Con oltre un milione di abitanti, Edo rivaleggiava per popolazione con le maggiori metropoli dell’Occidente e le superava senz’altro in estensione dato che i vari quartieri di cui essa si componeva erano separati fra loro da vaste zone di verde e da colline boscose.
Uno dei primi diplomatici stranieri, un ambasciatore di S.M. Britannica, che ebbe la ventura di risiedervi intorno al 1850, la diceva “bella a vedersi, anche d’inverno, distesa in un’ampia vallata, cinta da verdi foreste e coronata da colline ondulate, degradanti dolcemente verso la baia dove il Pacifico si sforza vanamente di versare le sue acque tempestose… in breve, una delle residenze più piacevoli di tutto l’Estremo Oriente, dal clima migliore di qualsiasi altra località ad Oriente di Città del Capo, distesa in un circuito di circa 20 miglia, con forse due milioni di abitanti e fornita di ciò che nessuna capitale europea può vantare: piste da percorrersi a cavallo, che vanno in tutte le direzioni, sulle colline boscose, attraverso valli ridenti e viali ombrosi, fiancheggianti da alberi magnifici. Entro la cinta urbana l’occhio si rallegra alla vista di verdi pendii, di giardini, di templi, di parchi come non avvenne in nessun’altra città…”
Edo doveva essere quindi una specie di Eden dall’incanto sonnolento, come tutte le vecchie città in cui i monumenti del passato si sposano al verde degli alberi: campagna e città nello stesso tempo come la Roma dei Papi e come questa, quasi nello stesso anno, ebbe la sorte di assurgere improvvisamente a capitale di uno stato moderno, pagando tale nuovo prestigio con la perdita, più ancora di Roma, di tanta parte della sua bellezza.
A differenza di Roma, che continuò a chiamarsi allo stesso modo, Edo invece cambiò nome, quasi a significare un taglio col passato che in brevissimo tempo non poteva divenire più netto. Distrutti dagli incendi i templi più belli, ridotti il numero e l’estensione dei parchi, privata la grande fortezza delle sue cinte esterne, la nuova Tokyo si andò popolando di tristi edifici in un grigio stile guglielmino: perdette uno ad uno i pittoreschi ponti di legno, sostituiti da altri in ferro e mattoni; vide le acque del suo maggior fiume farsi sempre più torbide e limacciose, solcate solo da chiatte nere e fumose; lasciò che fabbriche e cantieri sorgessero accanto ai pochi giardini rimasti; ne scavalcò altri con viadotti e ferrovie; divenne una giungla di pali, di antenne, di tabelloni, di tralicci, di cavi, di ciminiere.
Terremoti, incendi, bombardamenti compirono l’opera, facendo scomparire le parti migliori ed anche più caduche della città, perché costruite in legno. Dopo un secolo, della vecchia Edo era rimasto poco o nulla.
Fonte: Estratto tratto dal libro Qui Tokyo (Grandi città del Mondo) – Touring Club Italiano
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