Penso che gran parte degli arcieri qui in occidente abbiano, se non letto, almeno sentito parlare di uno dei più grandi successi mondiali in campo: un libro che è considerato diffusamente come uno studio sulla cultura giapponese, Lo zen e il tiro con l’arco, del filosofo tedesco Eugen Herrigel.
Questo libro, che in alcuni ambienti filosofici viene consigliato come fondamentale per avvicinarsi alla spiritualità e alla mistica zen in realtà è nato da una grande incomprensione fra due attori principali di questa avventura: Eugen Herrigel e Awa Kenzo.
Ciò proposto in questo articolo è una sintesi ricavata da un articolo che, il Dott. Yamada Shoji, Professore presso l’International Research Center for Japanese Studies di Kyoto, ha pubblicato nel 2001 sul Japanese Journal of Religious Studies proprio con il titolo “Il mito dello Zen e il tiro con l’arco”.
Per la maggior parte della gente, il termine “arcieria giapponese” (kyudo) evoca pensieri mistici o di rigidi esercizi di concentrazione spirituale (seishin toisu) in relazione con le pratiche Zen. In realtà, esaminando la storia dell’arcieria giapponese, si evince che è stato solo dopo la seconda guerra mondiale che si è cominciato ad associare lo Zen al kyudo.
In particolare, la data esatta di inizio di questo fenomeno fu il 1956, anno in cui il libro “Lo zen e il tiro con l’arco” (la prima edizione è del 1948) venne tradotto e pubblicato anche in Giappone (Yumi to Zen – 1956). Da questo momento, questo libro è stato considerato una delle maggiori opere sulla cultura giapponese.
Se però guardiamo l’approccio che le persone avevano verso il tiro con l’arco in Giappone nel periodo post Meiji (dopo il 1868) e prima della comparsa di questo libro, il kyudo veniva praticato come forma di educazione fisica o per piacere personale. Nei testi sul kyudo risalenti alla storia del Giappone di ogni epoca fino ad arrivare a prima della guerra non esiste alcun riferimento al kyudo, in realtà Kyujuutsu (arte/tecnica dell’arco), come pratica Zen.
Anche al giorno d’oggi, tra i praticanti di kyudo in Giappone è estremamente raro incontrare persone che praticano kyudo per avvicinarsi allo Zen. In occidente invece un’indagine condotta dall’universita di Tsukuba ha riscontrato che l’84% dei tiratori si sono avvicinati al kyudo per “allenarsi spiritualmente”. E’ chiaro che questo è dovuto all’influenza del libro di Herrigel.
Ma in breve chi era Herrigel? Herrigel nasce ad Heidelberg nel 1884. Inizialmente studiò teologia per poi passare alla filosofia appassionandosi alla mistica. Il risultato fu che Herrigel, ancora in Germania, si occupò di studiare lo Zen che considerava come la più mistica delle religioni.
Nel 1924 gli venne offerta la cattedra di filosofia all’Università Imperiale Tohoku a Sendai dove rimase fino al 1929. Tornato in Germania continuò ad insegnare fino al 1951, anno in cui andò in pensione. Morì nel 1955 all’età di 71 anni.
Fu proprio nel periodo trascorso a Sendai che volendo avvicinarsi allo Zen, su indicazione di un suo collega dell’università, del Prof. Komachiya, conobbe il Maestro Awa Kenzo sotto il quale cominciò la pratica del kyudo.
Chi era Awa Kenzo? Awa nasce nel 1880 nel villaggio di Kawakitamachi nella prefettura di Miyagi. A 20 anni si sposò nella famiglia degli Awa, dei produttori di riso e come era uso in Giappone, assunse il nome di famiglia degli Awa. A 21 anni cominciò la pratica del Kyudo della Heki ryu Sekka-ha sotto la guida di Kumira Tatsugoro, un ex samurai del feudo di Sendai.
A 30 anni si trasferì a Sendai dove cominciò anche a praticare il kyudo della Heki ryu Chikurin-ha, sotto la guida di Honda Toshizane (fondatore della scuola Honda). In questo periodo divenne responsabile dell’insegnamento di Kyudo nel Collegio Numero Due di Sendai.
Circa all’inizio del periodo Taisho (1912-1926) Awa cominciò ad avere dei dubbi sul suo modo di tirare e il detto “niente è necessario” contenuto in uno dei testi della Sekka-ha divenne un concetto così ossessivo che lo portò a rinnegare il kyudo.
Bisogna però chiarire che il detto “niente è necessario”(che è un modo di esprimersi criptico tipico dei libri delle scuole di arti marziali che scrivono in un modo ma intendono esattamente l’opposto) che si trova nella Heki ryu Sekka-ha fa riferimento al fatto che, quando un arciere ha molti anni di esperienza e fa sua la tecnica, allora non è necessario essere rigidamente legati alla forma di esecuzione. Questa viene personalizzata, ma non eliminata o cambiata. Per un principiante, questo è assolutamente proibito. Deve attenersi scrupolosamente alle istruzioni del maestro.
Awa Kenzo portò all’estremo il concetto di “niente è necessario” interpretandolo col significato che non è necessaria alcuna tecnica fin dall’inizio. Sulla base di questa errata interpretazione Awa rinnegò la tecnica e cominciò a praticare un proprio stile intriso di misticismo che chiamò “shado” (via del tiro con l’arco).
Da qui, far diventare questo suo nuovo stile una dottrina religiosa il passo fu breve. Nel 1927, nonostante la forte opposizione del mondo del kyudo che lo definì un pazzo e l’opposizione dei suoi stessi allievi, Awa fondo la Daishadokyo (Grande Dottrina della via dell’arco). Awa Kenzo morì nel 1939 e questa sua religione morì con lui.
Fu proprio in questi anni, di grande rivoluzione per Awa che Herrigel divenne suo allievo. Ma mentre Herrigel cercava lo Zen, e considerava il kyudo solo una via per accedervi, Awa, nonostante affermasse che l’arco e lo Zen sono la stessa cosa, non ha mai fatto la benché minima pratica di esercizi Zen e anzi, addirittura consigliava di evitarlo.
In più esisteva un problema di fondo non secondario. Tralasciando il fatto che Herrigel ricercava lo Zen mentre Awa lo rifuggiva, tra i due esisteva il problema della comprensione in quanto Herrigel non parlava giapponese e Awa non parlava il tedesco. A molti loro incontri fu presente un traduttore, proprio il Prof. Komachiya che però non sapeva nulla di kyudo e il più delle volte, doveva interpretare quello che Awa diceva in quanto, dopo la sua deriva mistica, Awa aveva cominciato a parlare in maniera criptica usando termini antichi.
Anni dopo lo stesso Komachiya affermò che in molte occasione non tradusse esattamente quello che disse Awa in quanto anche lui stesso non lo capiva, ma si limitò a confermare quello che in generale poteva andare bene a Herrigel. Uno degli episodi simbolo di questa incomprensione è quello conosciuto come “il bersaglio nel buio”.
Il fatto accadde dopo 3 anni che Herrigel praticava kyudo. In tutto quel tempo Herrigel praticò solo il makiwara e quando dopo questo periodo gli fu consentito di cominciare a tirare alla distanza standard di 28 metri, le sue frecce non raggiungevano nemmeno il bersaglio. Herrigel sconfortato chiese ad Awa come fare per riuscire a colpire e per tutta risposta Awa disse che “Pensare di colpire il bersaglio è un’eresia. Non mirare ad esso”. Ma Herrigel insistette e a questo punto Awa gli ordinò di presentarsi di nuovo al dojo la sera stessa.
Nel libro Herrigel si dilunga in dettagli particolari per ricreare l’atmosfera di quella notte, ma riassumendo: Herrigel e Awa erano nel dojo illuminato mentre il bersaglio era posto a 28 metri di distanza nella totale, o quasi, oscurità. L’unico punto di luce era un bastoncino di incenso acceso vicino al bersaglio.
Nel più assoluto silenzio, Awa scoccò due frecce che entrambe colpirono il bersaglio e quando chiese a Herrigel di verificare dove hanno colpito, Herrigel scoprì che la seconda freccia scoccata aveva colpito la cocca della prima freccia conficcandosi leggermente di lato ad essa. Sconcertato da questa esibizione, Awa riferì che vide Herrigel impallidire. Stupito e ammirato consegnò ad Awa le due frecce che le guardò “come assorto da un pensiero profondo…” (parole di Herrigel).
Per un kyudoka, la cura del materiale è essenziale, quindi colpire una propria freccia con l’altra rovinandola è una cosa di cui vergognarsi. Infatti, di questo episodio Awa non ne parlò con nessuno eccetto che con il suo allievo più anziano Anzawa Heijiro (1888-1970).
Il Professor Komachiya, nel 1940, dopo aver letto il saggio di Herrigel, chiese ad Awa informazioni sull’episodio. Awa ridendo disse: ”Sai, a volte accadono cose veramente strane. Quello è stato un caso”.
Anzawa Heijiro, raccontò in seguito che Awa, parlando dell’accaduto gli disse: “No, è stata proprio una coincidenza! Non avevo nessuna intenzione di fare una dimostrazione simile”. (Citato da Komachiya 1965)
Probabilmente Herrigel non capì che quel guardare le due frecce “come assorto da un pensiero profondo” in realtà celava solo il pensiero: “accidenti, ho rovinato una delle mie frecce migliori” (Shoji)
In un dojo nell’oscurità della notte, un maestro arciere fa una dimostrazione di fronte ad un allievo, scocca la prima freccia e colpisce un bersaglio al buio, la seconda freccia colpisce la prima dividendo in due la cocca. Chiunque, e specialmente chi è in cerca del misticismo e della spiritualità, sarebbe stato emozionato nel partecipare a un simile evento.
Vista l’incomprensione linguistica, sicuramente Awa non fu in grado di spiegare ad Herrigel che quello fu un evento estremamente raro e che era frutto del caso e non della spiritualità. In mancanza però di una simile spiegazione, Herrigel riempi in maniera naturale questo vuoto con la sola interpretazione mistica che voleva.
In conclusione, quello che il Dott. Yamada Shoji spiega è che la breve permanenza di Herrigel in Giappone, vi rimase solo 6 anni, la sua affannosa ricerca dello Zen e non del tiro con l’arco, l’incontro con il Maestro Awa Kenzo in un momento in cui il Maestro stesso aveva cominciato un cammino che partendo da una sua errata analisi lo portò ad essere allontanato dal kyudo tradizionale e l’incomprensione linguistica, crearono un insieme di situazioni che sfociarono in un libro che ebbe, ed ha, si un grande successo, ma che in realtà è solo il frutto dell’errata interpretazione di un filosofo tedesco innamorato di una dottrina che considerava come la più alta espressione di religiosità.
Probabilmente le circostanze lo portarono ad incontrare la persona sbagliata. Se vogliamo fare un’appunto a Herrigel, la sua vera colpa è quella di non aver approfondito a sufficienza e di essersi accontentato del primo approccio che ha trovato (forse perché sembrava dargli proprio quello che cercava). Pare che molti anni dopo abbia detto a un suo amico che, con un pò più di esperienza, forse quel libro non l’avrebbe mai scritto.
Nessun libro antico di nessuna scuola di arti marziali associa la pratica Zen allo studio delle arti marziali stesse. Questo modo di pensare è nato soprattutto in occidente dopo la 2° guerra mondiale ed è poi traslato nel Giappone moderno che, sotto l’influenza degli Stati Uniti, ha dovuto ricostruire la propria vita cercando di far cancellare l’idea di un popolo bellicoso dedito alle arti militari.
In realtà, come avete potuto cominciare a capire da queste poche e spero non troppo confuse parole, la verità su cosa sia e da dove provenga l’arcieria giapponese è ben diversa.
Per chi volesse saperne di più su questa bellissima arte e approfondire l’argomento consiglio inoltre i seguenti libri:
- Lo Zen, l’Arco e la Freccia – Vita e insegnamenti di Awa Kenzo di John Stevens
- L’arte del Tiro con l’Arco – Il segreto del bersaglio di Jackson S. Morisawa
- I segreti del Kyudo di Dan e Jackie De Prospero
- Kyudo – L’essenza e la pratica dell’arcieria giapponese di Hideharu Onuma
- Kyudo. Il segreto della Freccia di Franco Zanon
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