Il Karate (空手) è un’arte marziale tradizionale originaria di Okinawa, un arcipelago formato da numerose isole a sud del Giappone. Secondo i kanji letteralmente significa Mano vuota: il kanji “Kara 空 significa infatti Vuoto mentre Te 手 vuol dire mano o pugno. Il pugno vuoto è probabilmente riferito all’assenza di uso di armi dato che la disciplina si pratica a mani nude ma è chiaro che il significato è anche legato al lato spirituale dell’arte marziale. Il vuoto a cui ci si riferisce è infatti quello mentale, si parla di una completa assenza di ego, di una mente sgombra e libera da pensieri, paure o desideri, risultato insomma aspirato da chiunque si appresta a praticare il karate.
Seguire l’evoluzione e lo sviluppo negli anni di tale disciplina non è semplice, causa purtroppo la mancanza di testimonianze certe che ne illustrino ampiamente l’origine. Quel che è sicuro è che la sua nascita – ma, soprattutto, la sua evoluzione – sono frutto dello strettissimo contatto con le discipline di combattimento cinesi e, in parte, anche giapponesi.
Il Karate nei primi secoli
Dal XV sino al XIX secolo le isole di Okinawa erano meglio conosciute come Regno Indipendente delle Isole Ryūkyū che godeva di una completa autonomia sia dal Giappone che dalla Cina nonostante fosse vicino ad entrambi. I sovrani di questo piccolo regno avevano unificato l’isola di Okinawa estendendola al regno delle isole Amami che si trovano nella odierna prefettura di Kagoshima e alle isole Sakishima, vicino il Taiwan.
Sicuramente i primi germogli di questa disciplina sono da ricercarsi nelle classi più alte, le uniche che avevano più possibilità di stringere contatti ed intessere rapporti con i commercianti cinesi, già esperti in alcune discipline di lotta. Ma, come si è anticipato, non esistono documenti a prova di questa tesi e quindi è possibile che, spontaneamente, anche la classe dei contadini abbia inventato un metodo di autodifesa. L’uso di armi appunto di derivazione contadina (tonfa, sai, bo, nunchaku) costituirebbero una prova a sostegno di questa scuola di pensiero.
Un fatto che può spiegare o dare qualche indizio sulla nascita del karate risale a Sho Shin, autore ed emanatore di una legge che in questi anni vieta l’uso di qualsiasi arma: infatti per mantenere la pace sul regno da poco unificato di Ryūkyū, Sho Shin vietò il possesso di armi a tutti i cittadini, armi che vennero raccolte e rinchiuse nelle segrete del castello di Shuri. Negli anni poi tale legge estese il divieto anche all’uso di bastoni e falcetti: ciò quindi portò gli abitanti a dedicarsi, in segreto, allo studio di una nuova forma di autodifesa da utilizzare in assenza di armi.
È dunque in questo periodo, tra le varie influenze culturali giunte dal vicino Taiwan, dalla Cina e dallo stesso Giappone che si inizia a diffondere una rudimentale forma d’arte marziale a mani nude, volta a garantire una buona capacità d’autodifesa, senza alcuna arma, utilizzabile anche nel caso di eventuali invasori.
Che il karate però si sia diffuso originariamente tra gli aristocratici, classi di alto rango o media borghesia è assai probabile ma non si dovette aspettar molto prima che tale disciplina arrivasse a diffondersi anche presso contadini e classi sociali meno elevate: l’occupazione del clan degli Shimazu infatti (XVII secolo) aveva si rafforzato la gerarchia della società dividendola nelle caste degli aristocratici, dei vassalli e dei contadini, scoraggiandone i movimenti e le interazioni tra loro, ma fu una situazione di rigidità che durò poco.
Il controllo del seguente clan di Satsuma fu così ferreo che spodestò ben presto i nobili okinawensi dalla loro posizione dominante costringendo molti di loro ad improvvisarsi mercanti o addirittura contadini: è dunque in questa fase della storia del Regno di Ryūkyū che le caste iniziarono a interagire tra loro e, di conseguenza, anche il sapere di ognuno venne più facilmente divulgato e a contatto con altri saperi e altre conoscenze.
Tuttavia non è ancora giunto il momento di parlare di “discipline” ne tantomeno di “scuole”. La conoscenza di tale forma di combattimento era l’unico segno che ancora rimaneva ai nobili, ormai diventati contadini, della loro passata vita da aristocratici: gelosi e orgogliosi della loro conoscenza continuavano ugualmente ad insegnarla in maniera segreta, quasi esoterica, trasmettendone le tecniche da maestro ad allievo – in casi rari, i discepoli potevano essere due – ma sempre all’interno della stessa famiglia. La diffusione dunque risultava ancora chiusa e ben lontana dall’essere condivisa.
Il Karate e l’influenza cinese
È doveroso soffermarsi sui diversi modi in cui la cultura cinese influenzò quella okinawense e quindi in particolar modo l’evolversi del karate. Molti studiosi di Karate erano soliti recarsi in Cina per due o più anni per studiare le tecniche di combattimento cinesi. Molti rimanevano in Cina per diversi anni per poter apprendere i ridumenti dei maestri locali finendo per scoprire così nuovi concetti filosofici, una nuova concezione del corpo umano, nuovi movimenti e stili che poi portavano dalla Cina ad Okinawa: ciò che si otteneva alla fine era un insieme frammentato di tecniche che sarebbero poi state reinterpretate dalle influenze locali.
Tuttavia per venire a contatto con la cultura cinese, inizialmente non era sempre necessario allontanarsi da Okinawa: il primo punto di contatto fu sicuramente il Villaggio di Kume, vicino Naha. Questo piccolo borgo costituiva la residenza di una nutrita delegazione di cinesi stanziati nell’arcipelago. Sicuramente questi stranieri conoscevano una o più arti marziali della madrepatria ed è altrettanto corretto supporre che continuassero a praticarle.
È difficile, tuttavia, pensare che già dai primi anni dell’insediamento questi fossero propensi a trasmettere il loro sapere ai locali, ma sicuramente in uno o più momenti questo contatto avvenne e fu quantitativamente rilevante.
Inoltre gli abitanti cinesi di questa zona continuavano a mantenere rapporti regolari con la Cina grazie ad una delegazione che, dal 1372 al 1866, venne ventitré volte sull’isola, condividendo con la comunità locale la loro conoscenza marziale e contribuendo alla sua evoluzione.
Articolo scritto da Pietro Calafiore per SakuraMagazine
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