I destini dell’archeologia giapponese sono nelle mani di parecchi organismi. La “Società giapponese d’archeologia” (Nihon kouko gakkai), fondata nel 1895, pubblica un bollettino scientifico trimestrale, la “Rivista archeologica” (Koukogaku zasshi). L’”Associazione degli archeologi giapponesi” (Nihon koukogaku kyoukai), fondata nel 1948, raggruppa gli archeologi professionisti.
Si riunisce una volta all’anno in convegni in cui vengono presentati sia i nuovi risultati ottenuti grazie ai lavori recenti sia i rapporti preliminari degli scavi nuovi. Essa decide quindi, in seno a un comitato ristretto composto dagli studiosi più eminenti della materia, l’autorizzazione o il rifiuto delle future campagne.
Tutti gli scavi compiuti in Giappone sono difatti sottoposti ai nostri giorni a un controllo effettivo delle autorità superiori. Il potere dell’Associazione degli archeologi è grande, ma solo morale: orienta le ricerche, ma non può appoggiarle con aiuti finanziari. Questi ultimi sono dati dal Ministero dell’Educazione (Monbushou), che sul piano locale è rappresentato in ogni prefettura, in ogni città e in ogni comune, secondo la gerarchia della suddivisione territoriale, dal “Comitato per l’Educazione” (Kyoiku iin kai), dall’”Ufficio Affari Culturali” (Bunkatei) e dalla “Commissione per il Patrimonio culturale” (Bunzakai).
Questi organismi finanziano gli archeologi e si occupano della pubblicazione dei rapporti di scavo, siano essi definitivi o preliminari. Ogni scavo deve tradursi in un rapporto, anche embrionale, prima che si ottengano nuove sovvenzioni. Il Bunzakai, in particolare, ha il compito di registrare gli scavi, i loro risultati e il materiale rinvenuto: se quest’ultimo è di grande interesse storico o artistico, il Bunkazai ne fa l’inventario.
Accanto ad opere scientifiche, l’Associazione degli archeologi pubblica un “annuario archeologico giapponese” (Nihon koukogaku nenpou): ogni anno vi figurano l’elenco degli scavi compiuti, un breve resoconto di quelli più importanti e un repertorio dei temi a cui siano stati dedicati libri, tesi e corsi impartiti nelle università. Pubblicazioni del genere escono quasi inevitabilmente in ritardo sul trascorrere del tempo: lo scarto fra questi lavori e la data della loro pubblicazione è attualmente di circa cinque anni.
Il grande pubblico giapponese prova un interesse immenso per l’archeologia. Vero è che in venticinque anni questi uomini, che un tempo avevano imparato la discendenza solare del loro imperatore, hanno vissuto un’esperienza poco comune, quella del rifiuto totale di tutto ciò che era stato loro insegnato. I loro figli seguono oggi con passione la rinascita di un passato umano dimenticato.
Quasi tutte le scuole superiori (kotougakkou), la cui stessa organizzazione favorisce la creazione di gruppi di “attività dirette”, accoglie un ufficio archeologico (koukogaku shitsu): gli allievi, mano d’opera ausiliaria spesso impiegata nei cantieri di scavo, vi conservano alcune delle loro scoperte, si iniziano alle diverse tecniche di restauro dei pezzi, costruiscono plastici e tracciano carte archeologiche della regione.
Nel quadro generale del mecenatismo industriale, che procura per esempio al Giappone istituzioni così interessanti come il Museo Bridgestone per l’arte moderna o il Museo Idemitsu per l’arte antica, i grandi giornali (Mainichi, Asahi) recano un prezioso contributo all’archeologia: finanziano rapporti di scavo come quello di Toro (Mainichi) e splendide pubblicazioni come quella che l’Asahi ha realizzato sulle grandi tombe decorate o la serie del Mainichi dedicata ai “tesori nazionali”: alle antichità nazionali dedicano ampio spazio nei loro diversi periodici. Pubblicano anche molte fotografie aeree degli scavi in corso, tanto che si possiede una buona visione globale dei giacimenti archeologici considerati, a torto o a ragione, come i più importanti.
Questa grande corrente di interesse spiega la quantità e la qualità delle pubblicazioni, spesso spettacolari, dedicate alle “arti giapponesi delle origini” (Nihon genshi bijutsu), secondo il titolo di una delle più belle collezioni moderne (ed. Kodansha): accanto a splendide illustrazioni, è corredata di carte e di note esplicative.
I lavori “di punta” hanno naturalmente un aspetto materiale più modesto. Molto numerose sono bibliografie, monografie e gazzettini archeologici. Aumenta sempre di più il gusto di pubblicare con tempestività informazioni e brevi considerazioni sui problemi o i siti allo studio: citiamo a mo’ d’esempio il “Giornale mensile d’archeologia” (Getsukan Koukogaku Journal), lanciato nel 1966 dalla Società New Science. Sfortunatamente, la tiratura spesso molto limitata di questi opuscoli, che pur contengono scienza viva, ne rende difficile la consultazione.
Fonte: Estratto tratto dal libro Archaelogia Mundi – Enciclopedia Archeologica – Giappone (Nagel)
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